N.39 - Prima prova della maturità: ne vogliamo parlare?

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Lo diciamo senza pudore: così com’è la prova di italiano non ci convince (prima prova scritta), sia per la sua impostazione, sia nel caso specifico per come è stata declinata in quest’ultima edizione.

Come sappiamo, la formula introdotta 16 anni fa quando l’esame di Stato ha mandato in soffitta la vecchia “maturità” ha sempre prestato il fianco a molte critiche e anche in quest’occasione non sono mancati i motivi per rimpolparle. Parrebbe dunque lecito sollevare il problema e ambire ad una revisione dell’impostazione e dei meccanismi che presiedono alla composizione.

Partiamo dai dati diramati dal Miur (qui il link) che, per quanto freddi dati, qualcosa vorranno pur dire. Ad una sommaria lettura colpisce che l’analisi del testo (quest’anno il Quasimodo degli anni Trenta) confermi la disaffezione dei nostri studenti (4,2%), dato che contrasta con quanto sarebbe lecito rinvenire in un popolo di santi, poeti e navigatori. E non può certo rincuorarci sapere che al liceo il 7% degli studenti ha optato per questa tipologia. Analoga grama sorte pare toccare al tema storico che, ironia della sorte visto che tratta di Europa, con il suo 3,8% se fosse un partito non avrebbe superato la soglia di sbarramento. Quest’anno anche la prova di ordine generale (“Il rammendo delle periferie” di Renzo Piano), da sempre ultima ancora di salvezza, non è arrivata a convincere uno studente su cinque. Come si registra da tanti anni a farla da padrone è stata invece la prova di tipo B, vera novità introdotta nel ‘98. E quale sarà la ragione se tre quarti degli studenti optano per questa prova? Forse che nelle patrie scuole alleviamo validi argomentatori o fulgide penne per la stampa?

Ci piacerebbe invitarvi a fare un gioco di immaginazione e pensare per un momento a quegli studenti che per tutto l’anno avete avuto davanti agli occhi, con il loro magma di desideri e aspirazioni, conquiste e cadute, con la loro maturità in costruzione giorno dopo giorno. E non pensiamo solo agli studenti dei licei, perché ci sono anche quelli degli altri percorsi, quelli che sono stati riacciuffati per un soffio o rimasti in bilico per un lungo periodo. Bene, cosa avranno fatto davanti a quei 7 fogli fitti fitti di testi e richieste e circa un’ora per decidere dove buttare le loro attese di cavarsela o di provare a ottenere la loro meritata riuscita? Provate con loro a scorrere le tracce con la giusta apprensione che si ha addosso in un momento così importante, scanzonati e in subbuglio, e chiedetevi cosa avranno fatto.
Ce li immaginiamo compiere una rapida scansione dei titoli, leggere qualche verso di Quasimodo, quel tanto per capire che non è proprio una lettura di facile accesso, cercando di capire dove trovare le maggiori possibilità per mettere insieme un discorso convincente o almeno coerente o, ultima speranza, quelle tre paginette di brutta che segnano il traguardo della sopravvivenza. È certo che in questa situazione disporre dei brani assegnati per la tipologia B qualche conforto lo porta: alla mal parata si può dignitosamente incrociare qualche citazione con alcune considerazioni.

Non c’è quindi da stupirsi se questo tipo di prova incontri il favore di una così ampia fetta di esaminandi. Ed è proprio la tipologia B quella che ci convince di meno, perché presume una maturità che i nostri ragazzi forse ancora non hanno e che non è neanche lecito aspettarsi da loro. Il senso critico si sviluppa a partire dalla riflessione sulle proprie esperienze, al paragone con quelle altrui, dilatandosi poi col crescere dell’attenzione per quello che accade attorno. Difficilmente però a 18 anni si è già in grado di affrontare le questioni che spesso vengono messe a tema nei diversi ambiti proposti per questa tipologia testuale, di comprendere seriamente la portata dei testi che le corredano, di organizzare il tutto in modo rettamente argomentato o nella forma di un commento giornalistico. Il rischio è che con la giusta preoccupazione di avvalorare il proprio elaborato ci si rifugi nel ripetere commenti e giudizi altrui ritenuti validi perché formulati da una persona stimata o meramente portati dal pensiero comune.

Così quest’anno più che in altre annate i quattro temi messi a fuoco saranno apparsi a molti di noi più che validi, mentre c’è da chiedersi se i nostri ragazzi non ci avranno piuttosto visto degli svolgimenti già precostituiti, tutti appiattiti su un pensiero buonista che – a parole – è per la gratuità, la difesa dell’ecosistema, la non violenza, la fiducia in una tecnologia misurata.

Sarà toccato poi come sempre alle commissioni il compito di valutare a maglie larghe, soprassedere su varie mancanze e premiare chi è riuscito a mettere un guizzo di originalità. Si spera che almeno loro saranno tornate a guardare i ragazzi per come li hanno conosciuti nella convivenza di un anno, sapendo quanto di buono c’è in loro e che le loro capacità critiche sanno emergere tutte le volte che sono accompagnati a guardare le esperienze che interrogano davvero.
Ci chiediamo se non ci sia davvero modo di ripensare questo tipo di prova facendo tesoro del lavoro di quei docenti che sanno fiduciosamente e pazientemente provocare l’intelligenza dei ragazzi.