N.11 - La “buona scuola” non è una scuola neutrale

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La consultazione sul documento “la buona scuola” si è conclusa. Se navighiamo all’interno del sito a essa dedicato troviamo molteplici proposte e tante osservazioni sui temi più disparati: la sensazione di confusione e spaesamento è evidente. Ma anche a una lettura veloce, salta all’occhio un dato di fondo: il mito della scuola unica, egualitaristica e neutrale non regge più, perché non è in grado di rispondere a bisogni educativo-formativi che sono visibilmente differenziati e non riesce ad offrire pari opportunità a persone diverse. La scuola non si può più pensare neutrale, semplicemente perché la neutralità non esiste.

Come ci ha scritto un caro amico, «Si deve arrivare a concepire che la vera buona scuola sia tutta la scuola (le scuole) operanti dentro una cornice legislativa definita dallo Stato. Questo per il bene della stessa scuola, cioè dei ragazzi. Allora quando si parla di scuola, di problemi o di obiettivi della scuola l'orizzonte è quello di una scuola fatta di scuole, tutte da considerare protagoniste e essenziali alla buona scuola».
Da diverso tempo Diesse lo sostiene e ci sembra interessante riproporvi alcuni stralci di un intervento del prof. Vittadini alla Convention del 2011

«È sotto gli occhi di tutti come l’esperienza scolastica dipenda soprattutto dall’iniziativa dei suoi insegnanti, da quanto siano in grado di sviluppare pienamente un percorso educativo e didattico. Ed è sempre possibile che ciò avvenga, ma le condizioni istituzionali possono pesantemente condizionare tale processo. Da questo punto di vista, la mancanza di autonomia della scuola italiana mortifica la professionalità insegnante. […]

Parlare di autonomia non significa affatto sostenere il privato contro il pubblico, ma sostenere uno strumento perché sia possibile sviluppare diversificazione e libertà, sia nelle scuole statali che in quelle libere, e valorizzare la professionalità degli insegnanti. […]

È impossibile costruire una scuola autonoma e libera senza che il reclutamento sia a livello della singola scuola. L’abilitazione accerta il raggiungimento di un certo livello di preparazione, ma poi deve essere la scuola a poter scegliere gli insegnanti che ritiene più adatti; occorre introdurre la possibilità di selezionare in base al merito, perché questa è una professione intellettuale ed è necessario avere la possibilità di diversificare. Ed è importante che vengano introdotte autonomia e capacità di competere tra le scuole […]

Ritengo che sia meglio concepire l'insegnamento come una professione liberale e, a fronte di rischi più grandi, cercare pian piano soluzioni che permettono di guadagnare di più. È un insulto che l’insegnante al massimo della carriera guadagni meno di un usciere pubblico, avendo fatto il percorso di studi che sappiamo. Almeno che sia lasciata la libertà di scelta, e questo però implica che il percorso di carriera preveda una valutazione concepita secondo un criterio e un percorso coerenti. Da questo percorso dipende la qualità di un progetto educativo-didattico che non può essere garantita senza alcuna valutazione, lungo tutta la vita professionale, o senza stimoli, professionali o anche economici, come accade ora.
La nostra proposta di scuola e di insegnante, in questo periodo di crisi, è una proposta di lungo periodo: dunque perché lottare lo stesso? Per una ragione ideale: perché la funzione della scuola è decisiva per lo sviluppo di una società e perché la libertà di educazione è determinante per la qualità della scuola. […]

Potremmo costruire una squadra di calcio con i ministri che sono passati (destra, sinistra, centro, alti, bassi, uomini, donne); è cambiato poco, ma noi andiamo avanti perché crediamo che la scuola sia il punto cruciale in una società e perché, anche in una scuola con molte cose ancora da cambiare, è possibile comunque educare e questo desiderio non è comprimibile
».

Noi lavoriamo per questo, e per niente di meno di questo siamo disposti ad incontrare altre esperienze con cui confrontarci e costruire una “buona scuola”.