N.13 - Dall’emergenza a un metodo

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La notizia, da tempo attesa, che in questi giorni occupa le pagine dei giornali e infiamma le discussioni è quella della sentenza della Corte di Giustizia europea sul precariato: siamo sul lato solito dell’emergenza nella gestione della scuola italiana.
Molto meno presente, nonostante l’offensiva mediatica messa in campo dal MIUR, il lancio del format per l’autovalutazione che guiderà quest’anno le scuole italiane nel primo approccio al neonato Sistema Nazionale di Valutazione.

La sentenza

Dal 26 novembre, data di pubblicazione della sentenza, fiumi d’inchiostro sono stati versati sulla vicenda; e non finirà certo qui. Posizioni nettamente contrapposte tra sindacati e ministero: i primi cantano vittoria, annunciano grandi numeri di possibili beneficiari (si arriva fino a 260mila!), rivendicano meriti e alimentano false speranze; il ministero, per parte sua, minimizza seccamente sui quantitativi: «saranno 15mila al massimo», dice la Giannini cercando di trasformare la sentenza in «un successo» del Governo, perché «riconosce quello che noi abbiamo visto subito come patologia italiana da curare» col piano di assunzioni de “La Buona Scuola”; e sulla prospettiva di una nuova ondata di ricorsi se ne esce con un’affermazione infelice: «questo non è un tema che riguarda me e il Governo». Pur di salvaguardare se stessi e i propri progetti negano responsabilità e rifiutano il confronto, a scapito della verità oggettiva e della vita delle persone.

I giudici della Corte di Giustizia dell’Unione europea hanno emesso una sentenza (qui il link) piuttosto complessa, tanto articolata nelle motivazioni quanto ermetica e sibillina nel dispositivo finale. Una sentenza che però sostanzialmente dichiara la normativa italiana in materia di contratti a termine nella scuola in contrasto con l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato sottoscritto in sede europea nel 1999. «Risulta, infatti, che tale normativa – sostengono i giudici –... da un lato non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e, dall’altro, non prevede nessun’altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato».

Un dato è certo: dalla sentenza non possono scaturire automaticamente effetti immediati, in quanto la Corte non ha potere diretto sulla giurisdizione nazionale degli Stati membri. In sostanza, dovranno essere i giudici italiani ad attuare le disposizioni della Corte e con ciò emettere decisioni in grado di “fare giurisprudenza”. La Corte ricorda infatti che «non è competente a pronunciarsi sull’interpretazione delle disposizioni di diritto interno, dato che questo compito spetta esclusivamente al giudice del rinvio»; con la sua pronuncia può solo fornire «precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua valutazione» per «prevenire e, se del caso, punire l’uso abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato». A tale scopo, la Corte elenca minuziosamente le motivazioni di supporto ai giudici nazionali per l’accoglimento delle istanze dei ricorrenti.

Al legislatore italiano la Corte indica – in modo perentorio, sebbene indiretto – un percorso per uscire dalla grave situazione di mora: da un canto, eliminare l’indeterminazione temporale delle procedure concorsuali («non è stata organizzata nessuna procedura concorsuale tra il 2000 e il 2011»!), bandendo concorsi ordinari per titoli ed esami con regolarità e frequenza (almeno triennale). Nel contempo, stigmatizzando la prassi tutta italiana della «immissione in ruolo per effetto dell’avanzamento dei docenti in graduatoria» perché legata a «circostanze aleatorie e imprevedibili», invita ad azzerare tutti i percorsi di questo genere. Per altro verso, stante l’inesistenza nella normativa italiana di misure sanzionatorie dell’abuso nell’utilizzo dei contratti a termine, ricorda che, in quanto Stato membro dell’Unione, l’Italia non può «esimersi dall’osservanza dell’obbligo di prevedere una misura adeguata per sanzionare debitamente il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato» e stabilire il relativo «risarcimento del danno eventualmente subito».

Più difficoltoso risulta individuare i destinatari della sentenza, coloro cioè che hanno coperto con contrati a termine «posti vacanti e disponibili» per un periodo temporale superiore al limite massimo di 36 mesi. I criteri generali per la loro identificazione, che la stessa sentenza richiama, sono contenuti nella legge n. 124/1999 e nel decreto n. 131/2007; si tratta sicuramente di tutti coloro che hanno coperto «supplenze annuali sull’organico “di diritto”» (cioè fino al 31 agosto) su posti privi di titolare. Le altre tipologie di supplenza, quelle «temporanee sull’organico “di fatto”, per posti non vacanti, ma disponibili» (fino al 30 giugno) e quelle «temporanee, o supplenze brevi» sembrano escluse. Sicuramente lo sono le ultime, mentre quelle fino al termine delle lezioni dovranno essere valutate di volta in volta. I giudici, data la farraginosità e scarsa trasparenza che da sempre contraddistingue l’assegnazione di questi incarichi, saranno chiamati a definire i contorni delle diverse situazioni; i numeri di diritto potrebbero lievitare considerevolmente.

La sentenza non avrà quindi effetto immediato, arrivando “lunga” probabilmente anche sulle 148mila assunzioni dalle Graduatorie ad Esaurimento previste da “La Buona Scuola”. Quella previsione, però, dovrà necessariamente venire ridimensionata, visto che tra gli iscritti nelle GaE ci sono diversi docenti che non rispondono al requisito dei 36 mesi di incarico annuale, mentre ce ne sono molti fuori dalla graduatoria, ormai anche in possesso di abilitazione.
Nessun automatismo, dunque, e tempi lunghi; soprattutto, ancora più ricorsi alla magistratura, con esiti non facilmente prevedibili e strascichi pesanti, anche sotto il profilo economico per tutti. E con il rischio, tutt’altro che remoto, di veder confluire nelle assunzioni tutti i finanziamenti destinati dalla legge di stabilità alla Buona Scuola.

Autovalutazione al via

Un seminario di due giorni a Roma, 27 e 28 novembre, sull’avvio del Sistema Nazionale di Valutazione rappresenta una tappa importante nel percorso che dovrà portare entro l’anno tutte le scuole italiane ad avviare il percorso di autovalutazione. Una due giorni che ha visto la partecipazione dei vertici del MIUR, dell’Invalsi e dell’Indire, con relazioni affidate al prof. Jaap Scheerens, Ordinario di Management educativo University of Twente (NL), e Damiano Previtali, Dirigente scolastico – componente del nucleo start up del SNV –, al quale sono stati invitati oltre ai direttori regionali e a dirigenti tecnici centrali e periferici, dirigenti scolastici e docenti che ciascuna direzione regionale ha individuato per costituire nuclei regionali che dovranno accompagnare gli istituti nel proprio percorso. Scopo del seminario è stato quello di presentare il format del Rapporto di Autovalutazione (RAV) elaborato dall’Invalsi (qui il link). L’impostazione del modello ricalca fondamentalmente quelli sperimentati in questi anni nei progetti Qualità e Miglioramento e Vales.
Secondo la time line contenuta nella Direttiva MIUR n. 11 del 18 settembre scorso siamo in ritardo di un paio di mesi, ma tenuto conto dei tempi del ministero possiamo tranquillamente dire che il percorso procede regolarmente: anzi, il segnale è proprio quello che il nodo dell’autovalutazione delle scuole costituisce una priorità politica; e che si vuole coinvolgere tutto il sistema in un percorso unitario, nel metodo e nei tempi.

Rimane centrale una questione: questo processo inciderà davvero sulla qualità delle nostre scuole? È una sfida, perché tutto si giocherà sulla possibilità che si inneschino processi virtuosi nelle scuole o che lo si riduca ad un ulteriore adempimento burocratico (tra l’altro gravoso e complesso) che le scuole (e cioè i dirigenti, i docenti, le segreterie) dovranno subire.