N.37 - “Intercettazioni”… sul ddl-scuola

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Dell’attenzione al proprio lavoro fa parte anche il giudizio sulle novità che si stanno precisando durante il percorso parlamentare del ddl-scuola. Due nostri amici ci hanno inviato lo scambio di mail avvenuto tra loro dopo aver letto l’editoriale della scorsa settimana (leggi qui il testo), nel quale abbiamo illustrato alcuni degli emendamenti inviati da Diesse ai Senatori.
Ci è sembrato interessante proporlo a tutti come esempio stimolante di che cosa significhi l’appartenenza all’associazione: si può non essere d’accordo su un particolare, si può discuterne anche animatamente (e magari si viene a un punto di vista più acuto di quelli da cui si è partiti), ma si rimane amici – e magari lo si diventa ancora di più – perché quel che tiene insieme è lo scopo, non il dettaglio.

G: Sono un idiota perché ho letto solo adesso la newsletter e ora mi tocca tacere, ma sai che sulla composizione del comitato di valutazione non sono affatto d’accordo? Se ci sono dentro solo insegnanti restiamo autoreferenziali, ci giudichiamo sempre da soli, invece che ci siano anche genitori e studenti è l’unico modo perché la valutazione sia seria (chi giudica la qualità delle scarpe o del pane? I calzolai e i panettieri o i clienti inesperti che li comprano? Inoltre, se io vengo giudicato da genitori e insegnanti sono il migliore, se mi giudicano i miei colleghi mi massacrano).

A: Non ti pare un po' semplicistico? La capacità di fare un'operazione chi la giudica? Il paziente? Se crolla un palazzo chi può verificare se la responsabilità è dell'ingegnere che ha sbagliato i calcoli o di altro? Inoltre, come può uno studente, che a quell'età è anche minorenne, esprimere un giudizio sulla vita di una persona (pensa non tanto al bonus annuale quanto alla conferma in ruolo!)? E un genitore sempre più "sindacalista" difensore della propria creaturina (soprattutto alle elementari e alle medie)?
Capisco quello che intendi e ci ho pensato a lungo. La questione non si risolve inserendo genitori e allievi; caso mai chiedendo un loro parere, ma non di più.

G: Perché parlare del genitore-sindacalista è già guardare la questione dal punto di vista corporativo degli insegnanti che si difendono, cioè dal famoso giudizio di De Mauro «Non possiamo dare troppa fiducia ai genitori e agli insegnanti nel creare la riforma, perché sono delle realtà immature, dobbiamo quindi governare la riforma dal centro» (Tullio De Mauro, Il Manifesto 15/1/1997)
Invece i genitori sono i miei datori di lavoro, sono loro che mi pagano lo stipendio, a loro devo rispondere, eventualmente dando le ragioni per cui il loro atteggiamento verso i figli è sbagliato. Del resto, è esattamente la dinamica delle scuole non statali, devo render conto ai genitori, e mi pare che la dinamica funzioni…
La bravura di un medico chi la giudica? Il paziente che sta meglio o peggio, alla faccia di tutto quel che possono dire i colleghi del medico, che giudicheranno sempre o per difesa corporativa o per invidia personale. No, preferisco di gran lunga essere giudicato dai destinatari del mio lavoro che da colleghi che pensano solo a difendere la categoria o a eliminare un concorrente fastidioso.

A: Peccato poi che dopo essere stato meglio sia deceduto... Il giudizio di un collega può anche essere quello che tu dici, ma a questo livello vale anche quanto ho detto per genitori e studenti. Con la considerazione che almeno i docenti che giudicano sono a loro volta giudicabili dai colleghi giudicati; i genitori no.

G: Non è vero: se si deve eleggere il genitore che giudica gli insegnanti, pensa a che dibattito si apre, e poi, dopo che lui ha detto sì o no a uno, come viene a sua volta giudicato… Si pare davvero la possibilità di non essere più autoreferenziali.

A: Ne dubito fortemente: i genitori (e gli studenti) sono comunque di passaggio, per gli insegnanti si tratta del loro lavoro e della loro vita.

G: Perché x gli studenti no?? Molto più che x noi.

A: Te l'ho già scritto: non hanno la oggettiva maturità x dare un giudizio del genere.

G: Perché gli insegnanti l’“oggettiva maturità” ce l’hanno…. Caro mio, ma da quando non metti più piede in una scuola?

A: Da venerdì scorso, perché?

G: Perché se io guardo i miei colleghi e devo aspettarmi da loro un giudizio critico sul nostro lavoro, metto la firma che non cambierà niente.

A: Lo so che non siamo tutti uguali... i miei (ex) colleghi sono persone affidabili (anche se non tutti), i tuoi forse no; ma questo non basta per scartarli.
Comunque consolati: ormai non passerà praticamente nulla del ddl visto che la minoranza PD ha i numeri per bloccare Renzi.

G: Ho letto, la coppia diabolica amministrazione-sindacato sta già affossando tutto…
Quando feci la mia tesi di laurea, una vita fa, lessi tra le altre cose un articolo pubblicato nel 1918 o giù di lì da don Carmine Scalia, responsabile per la scuola dell’Azione Cattolica (all’epoca la voce ufficiale del cattolicesimo italiano), che dopo aver elencato una serie di punti che potremmo benissimo ripetere noi oggi – autonomia delle scuole, valutazione degli insegnanti, parità scolastica... – concludeva: «Questo è l’ideale, ma per l’anno Duemila all’incirca!» Povero don Scalia, l’anno Duemila è passato da un pezzo, ma la scuola italiana è ancora quella di cent’anni fa. E allora? E allora mi torna in mente una cosa che ho letto in un articolo qualche tempo fa, che a un certo punto diceva «io insegno oggi, in queste condizioni; e voglio essere io a scegliere, a decidere come muovermi: oggi, in queste condizioni, senza aspettare la scuola ideale che verrà forse quando sarò morto».
Poi, se riusciamo anche ad azzeccare un emendamento male non fa…