N.2 - Affrontare un nuovo anno

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Trentino-Alto Adige e Molise a fare da apripista questa settimana, da lunedì le scuole di tutta Italia riapriranno le porte per un nuovo anno scolastico. La cosa peggiore che ci può capitare – come insegnanti e come persone – è di ricominciare senza guardare la realtà che abbiamo davanti, senza lasciarci ri-provocare da quelle facce che incontreremo ogni giorno per un anno; in fondo, senza attendere nulla.
Come la scorsa settimana, per aiutarci a ricentrare lo sguardo, offriamo due interventi. Il primo – qui di seguito – è un commento di Roberto Persico ad un articolo riguardante il meccanismo delle assunzioni nella fase B della “buona scuola”, apparso su Tuttoscuola domenica scorsa. Il secondo è una riflessione di Fabrizio Foschi sulle vicende dei migranti che quotidianamente occupano gli spazi dell’informazione e non solo. Molto diversi tra loro per contenuti, hanno però in comune la capacità di osservare la realtà con un giudizio; e indicano così un metodo. Non da copiare, perché si può anche non essere d’accordo, ma da percorrere.

Simpatico, l’articolo comparso su Tuttoscuola del 6 settembre, L'algoritmo, il caso e la necessità, arguta l’immagine della Macchina del Fato che distribuisce gli insegnanti secondo un ferreo, insindacabile calcolo matematico. E giusta, giustissima l’osservazione che lo chiude: anziché affidare la distribuzione degli insegnanti a un gigantesco meccanismo, non sarebbe meglio metterla nelle mani delle scuole?
Ma, ohibò: è una critica a Renzi, al ministro, alla legge 107? Ma come, tutta la battaglia contro la legge non è stata proprio combattuta contro la – relativa, relativissima – discrezionalità che affida ai dirigenti scolastici? Ma come, non sono sempre stati i sindacati che hanno difeso a oltranza, strenuamente, fino all’ultimo respiro, i punteggi, le graduatorie, i meccanismi impersonali che mettono i poveri docenti al riparo dagli arbitri e dai favoritismi dei presidi-sceriffi? E adesso che hanno ottenuto che le immissioni in ruolo vengano fatte secondo punteggi, graduatorie, meccanismi impersonali, hanno il coraggio di lamentarsene?
La critica non è rivolta, va da sé, a Tuttoscuola, un sito che è sempre stato molto aperto e attento alla possibilità di forme più elastiche di gestione del personale; ma il testo in questione mostra bene, smaschera potremmo dire, la disinvoltura con cui i sindacati fanno il gioco delle parti: fino a ieri difensori accaniti del meccanismo, oggi che sfugge loro dalle mani ne diventano critici. Il punto, forse, è proprio qui: sfugge dalle loro mani, come osserva acutamente l’autore dell’articolo: basta raccomandazioni, ricorsi, ritardi. Basta con tutto quel sottobosco di pratiche di cui i sindacati hanno (avuto?) il monopolio: troppo intricato il ginepraio di leggi e leggine sovrappostesi nei decenni perché il povero docente si possa districare da sé, inevitabile l’iscrizione al sindacato che, solo, è in grado di orientarsi nel labirinto. Ora il mostro che i sindacati hanno potentemente contribuito ad alimentare si è rivoltato contro il suo padrone, il principio che hanno sempre affermato li mette ai margini; e provano a cavalcare (e a sobillare) il malcontento fingendo di dimenticare il ruolo che hanno avuto nel crearlo.
Malcontento, poi, per che cosa? Può far rabbia a qualcuno l’intervento di Renzi a Porta a porta, ma è puro realismo, semplice buon senso: non posso portare i ragazzi dove ci sono gli insegnanti, è inevitabile che siano gli insegnanti ad andare dove ci sono i ragazzi. Se poi l’insegnante che aveva da anni la supplenza annuale sotto casa si trova ad andare altrove, l’uomo della strada si chiede stupito: se c’è una cattedra vuota, perché non gliela danno? La risposta è incomprensibile all’uomo della strada, e anche al povero docente comune. Sta in quell’intrico di leggi e leggine per cui quella cattedra c’è ma non risulta, è disponibile per le supplenze ma non per le immissioni in ruolo, e simili intrichi in cui, ancora una volta, solo i sindacati riescono a districarsi. Ancora una volta, il problema l’hanno creato loro (con la complicità di certi settori della pubblica amministrazione): con che faccia adesso ne fanno un capo d’accusa per altri?
La realtà, la semplice realtà dei fatti, è che l’annunciata “deportazione” (guarda te dove arriva la retorica) non c’è stata, che la stragrande maggioranza dei docenti è stata assegnata a scuole vicine, che il caso dell’insegnante trasferito a 500 chilometri a insegnare una materia che conosce appena è un caso isolato – antica l’abitudine di sbandierare il caso pietoso per mascherare la realtà diffusa, non è vero? E poi, se è stato messo su quella materia è perché aveva fatto domanda lui, no? -, che comunque rientra nel principio di prima: se la cattedra più vicina è quella, mica possiamo deportare – questa sì, sarebbe una “deportazione” – gli studenti, no?
Per chiuderla con questa celia: i meccanismi stanno facendo il loro corso, i danni paventati non si vedono, decine di migliaia di insegnanti sono contenti perché finalmente hanno il sospirato posto fisso. Allora possiamo mettere da parte le polemiche estive e cominciare a guardare in faccia i colleghi (vecchi e nuovi) e i ragazzi e quel che abbiamo da insegnare?
Roberto Persico