N.32 - Perché vale la pena insegnare?

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«Quanto è importante che i giovani professori che arrivano nelle vostre scuole possano trovare un luogo dove questa verifica costante dell’insegnamento sia portata avanti, dove porre domande senza sentirsi giudicati, dove possano essere orientati e trovare dei suggerimenti da parte di persone che hanno già molta esperienza alle spalle e che avvertano le domande nuove che hanno. […] In questo contesto, il lavoro delle associazioni è prezioso; vi prego di […] farne luoghi di vera compagnia, di risposta ai problemi reali, dove costantemente si verificano i tentativi che si fanno in una condivisione e in un sostegno reciproco». (cfr. “Insegnare oggi. Nuovi contesti e nuove sfide”, pagg. 15-16)

Inizio di aprile 2016, Pescara, Abruzzo: 630 docenti neo assunti partecipano all’incontro formativo propedeutico del personale docente ed educativo in periodo di formazione e di prova. Suddivisi in due gruppi, sia la mattina che il pomeriggio affollano l’aula magna dell’istituto “Di Marzio - Michetti” dove li attende una sorpresa: dopo il benvenuto dei dirigenti e note organizzative estremamente essenziali, la più gran parte del tempo è dedicata alla testimonianza di due “colleghi della classe accanto”. Due docenti di Diesse, invitati a intervenire su un tema decisamente impegnativo: perché vale la pena insegnare? Una bella sfida, tenendo presente anche l'uditorio molto eterogeneo: alcuni appena arrivati nella scuola da esperienze lavorative molto differenti, altri finalmente assunti dopo lunghi anni di precariato; chi carico di entusiasmo e chi al fondo già minato da un certo scetticismo.
Perché vale la pena imbarcarsi in questa avventura che implica il coinvolgimento di molte libertà e proprio per questo è tanto affascinante quanto aperta agli esiti più disparati?
Davanti all’uditorio sono andati in scena dei fatti: protagonista la realtà, interpreti i docenti che si sono adoperati perché da ogni circostanza – anche la difficoltà, la mancanza, l’errore – si sprigionasse un bene. Fatti che, toccando i punti più caldi del dibattito in atto nelle scuole, potessero documentare che insegnare non solo è ancora possibile ma desiderabile e vantaggioso per sé. Temi come le competenze, le discipline, le difficoltà di apprendimento e i bisogni educativi, i non italofoni, la collegialità, il rapporto con le famiglie, e ancora la libertà, le opportunità, l’imprevisto, sono stati esemplificati nei contesti che li hanno fatti emergere. Eccone alcuni.

Un certo consiglio di classe, preso atto di un comportamento gravemente offensivo, in un primo momento decide di punire A. in modo esemplare: sospensione di quindici giorni e rigore assoluto agli esami integrativi da sostenere per restare nell’istituto. Ma un’insegnante «non se la sente di inchiodare il ragazzo alla croce dei suoi errori e fa una proposta: niente sospensione, ma tre settimane di stage in piena estate, mentre i suoi compagni saranno al mare. E a fine maggio, quando la sua classe andrà in azienda, il ragazzo frequenterà le lezioni in una terza e preparerà gli esami per restare nella scuola. Il consiglio di classe ci sta, la preside pure, la scommessa è accettata. Se l’“io” di A. si ridesterà, nessuno lo sa, ma certamente questa posizione, come dice Carrón, “costituisce una provocazione adeguata”».

Poi è la volta dei Colloqui Fiorentini. In una città delle Marche coinvolgono Istituti Tecnici, Professionali e Licei: e quando mai si è visto che docenti e studenti di scuole così diverse lavorassero insieme e alla pari, persone con uno stesso cuore di fronte a un grande autore della letteratura? Un confronto così appassionante che non si può sospendere neppure quando la scuola chiude. Tant’è che un genitore, incredulo, ha telefonato a casa del professore per assicurarsi di aver capito bene: davvero sua figlia intendeva usare due giorni delle vacanze natalizie per una full-immersion nella poesia di Ungaretti con compagni e professori?

Poi raccontiamo di una giovane docente di fisica (il punto della settimana n. 19 - Una provocazione adeguata): nella sua scuola non c’è il laboratorio, ma lei coinvolge gli studenti che si procurano tutto l’occorrente e in classe “avviene” l’esperimento, cioè – dice la prof. – “la bellezza”, che ha lasciato gli studenti pieni di stupore. Allora la prof. scrive una lettera ai suoi studenti, e li ringrazia della splendida lezione resa possibile dal fatto che loro “ci sono stati”. Mentre leggiamo la lettera, nell’aula magna domina il silenzio e qualcuno si commuove.
Il tempo a nostra disposizione è trascorso. Prima di allontanarsi però sono molti i docenti che ci raggiungono per ringraziare. «Mi aspettavo un corso come i soliti, tutti slide e definizioni: invece finalmente abbiamo potuto guardare delle persone», «È la prima volta dopo tanto tempo che sento profumo di pedagogia», «Grazie perché ho ritrovato la scuola che desidero». Scambio di nomi, indirizzi email, numeri di telefono; saluti affettuosi e accordi per tenerci in contatto.
«Quanto è importante – diceva Carrón lo scorso 11 ottobre – che i giovani professori che arrivano nelle vostre scuole possano trovare un luogo dove questa verifica costante dell’insegnamento sia portata avanti, dove porre domande senza sentirsi giudicati, dove possano essere orientati e trovare dei suggerimenti da parte di persone che hanno già molta esperienza alle spalle e che avvertano le domande nuove che hanno».

Questo “luogo” a Pescara si è reso presente come una possibilità per chiunque lo desideri.