N.7 - Contro l’apparente oblio della conoscenza. Un’esperienza di valutazione degli apprendimenti

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«Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?” I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo è l’acqua?”». Questa citazione dal discorso che David Foster Wallace tenne nel 2005 in occasione cerimonia delle lauree al Kenyon college ha segnato un passaggio fondamentale dell’intervento che il prof. Costantino Esposito ha tenuto alla recente Convention di Diesse. Il senso della storia è lo stesso scrittore americano a precisarlo: «Il succo della storia dei pesci è solamente che spesso le più ovvie e importanti realtà sono quelle più difficili da vedere e di cui parlare». È una questione decisiva dunque questa educazione dello sguardo: tanto importante che avremo modo di tornarci durante l’anno. Proponiamo questa settimana un intervento del prof. Massimo Nardi, insegnante di Filosofia e Scienze Umane presso il Polo Liceale Statale «Saffo» di Roseto degli Abruzzi (TE), che ci sembra un’interessante documentazione di questa volontà di guardare fino in fondo il lavoro, l’efficacia del proprio metodo di insegnamento, l’apprendimento reale dei propri studenti.

Alla fine dell’anno scolastico l’insegnante è lealmente persuaso dei buoni livelli di apprendimento raggiunti dagli studenti. Quasi sogna conquiste permanenti di conoscenze. All’alba del nuovo anno il sogno svanisce, nel docente e negli studenti.
Per anni ho visto i miei studenti tornare a sedere sui banchi generalmente convinti che quanto studiato l’anno precedente, con impegno e interesse, appartenesse a un passato difficilmente rievocabile. Io stesso ho contribuito: sondaggi, timidi e timorosi, basati su domande dirette, normalmente ottenevano puntuali conferme.

Quest’anno mi sono chiesto: e se questa situazione di oblio semitotale delle conoscenze fosse uno stereotipo o un autoinganno? Un fenomeno abituale, ma di superficie? Quanto sarebbe motivante, per il percorso che andiamo ad iniziare, fare esperienza diretta di una diversa possibilità? In fondo anche un sogno, deluso, può diventare un’ipotesi di lavoro.
Ho deciso di mettere alla prova, da una parte, la capacità di rievocazione spontanea delle menti degli studenti, dall’altra la mia capacità di accompagnare tale processo.
Ho chiesto a ogni alunno, in ogni classe, senza consultare libro o appunti, di fare silenzio per dieci minuti e scrivere su un foglio una lista di quanto tornava a loro in mente del percorso disciplinare dell’anno precedente: parole, concetti, espressioni, citazioni, nomi… in modo immediato, casuale, disinibito…
Al primo interpellato ho chiesto di leggere l’intera lista e poi scegliere un elemento di cui esporre quanto ricordava in modo autonomo. Io mi sono poi inserito con domande aperte, ad alternativa di risposta (il metodo dicotomico tanto caro a Socrate…), metafore e similitudini, ipotesi di collegamenti, sottoposti alla valutazione dell’interlocutore. Sulle questioni che restavano insolute ho chiesto l’intervento dei compagni, con ognuno dei quali ripartiva un serrato dialogo euristico. E così fino alla fine dell’ora e finché ogni alunno ha avuto modo di partecipare all’attività comune.
Con una certa sorpresa abbiamo verificato che i saperi essenziali del programma svolto avevano preso le sembianze di un puzzle: con il dialogo comune e il coinvolgimento di ricordi, intuizioni e riflessioni di ognuno, pian piano le diverse tessere avevano preso forma e trovato il loro posto nell’insieme.

È stata un’esperienza impegnativa, ma dalle buone ricadute formative per me e per gli studenti: ottenere un risultato con il contributo di tutti, scoprire nuove situazioni d’apprendimento, sperimentare l’importanza del dialogo e allenarne la pratica, apprezzare che lo studio consapevole lascia tracce, anche profonde, prendere fiducia che insegnamenti e apprendimenti potranno avere un valore migliore di quanto normalmente pensiamo.

In qualche modo aveva ragione Gaetano Salvemini: «La cultura è ciò che resta dopo aver dimenticato tutto ciò che si è studiato».