N.12 - Nel silenzioso andare del tempo

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Il 50° Rapporto Annuale del CENSIS ha catturato l’attenzione degli osservatori in queste settimane; molti sono stati gli aspetti che hanno fatto clamore, in particolare il dato per cui le aspettative dei giovani sono inferiori a quelle dei propri padri e nonni. C’è un elemento che è però stato poco evidenziato.
Nel «silenzioso andare del tempo», dice il Rapporto, si riscontrano alcuni processi all’interno della società italiana. In primo luogo, la società continua a funzionare nel quotidiano. Non come scettica passività dell'abitudine, ma come primato dell'impegno quotidiano dei soggetti economici e sociali. Le imprese continuano a operare nelle dinamiche di filiera; le famiglie continuano a coltivare i loro risparmi e i loro patrimoni; il sistema di welfare continua la sua lucida e spesso dura quadratura in modo da non perdere il suo ruolo cardine nella soddisfazione dei bisogni sociali; ecc.
In secondo luogo, la società rumina e metabolizza gli input esterni, volta per volta rimuovendoli o assimilandoli. Infine, conclude il CENSIS, la società cicatrizza le ferite più profonde.
È un ritratto della società italiana, ma è un ritratto anche della scuola.
Anche nella scuola assistiamo a queste dinamiche, a questo «silenzioso andare del tempo», fatto dell’impegno e della passione di tanti insegnanti e dirigenti, che sfida tutte le contraddizioni, gli ostacoli, gli errori, le pastoie burocratiche, i continui input, i cambiamenti sociali, le circolari...
Noi siamo convinti che questo sia il tempo di seminare, comunque, anche se il terreno sembra inadatto e i risultati incerti. Non certo per indifferenza al contesto; anzi l’attenzione della nostra associazione di questi anni alle questioni “di sistema” dimostra il contrario. Ma perché in questo silenzioso ma attivo vivere il tempo accade che i nostri ragazzi crescono, che gli insegnanti si riappropriano del gusto del proprio lavoro, che le scuole mantengono un ruolo essenziale nel contesto dei territori.
Questo è il motivo per cui nelle scorse settimane abbiamo pubblicato nei nostri editoriali testimonianze di insegnanti al lavoro. Ed è il motivo per cui vogliamo dedicare anche questo numero alla lettera di un insegnante impegnato nel percorso de I Colloqui Fiorentini.

Un grande narratore, saggista e lettore del Novecento, Jorge Luis Borges, amava affermare «Sono molto più fiero dei libri che ho letto che di quelli che ho scritto» per sottolineare l’importanza che aveva per lui la lettura. Leggere veramente significa entrare nel “mondo scritto” del testo, nelle pieghe del linguaggio, nell’involucro delle parole, nella dimensione immaginaria a cui esse alludono, nei mondi possibili a cui rimandano. Leggere più che un esercizio ottico, è un processo che coinvolge cuore e occhi insieme per rinvenire nella pagina il “mondo non scritto” che lo scrittore tenta di conquistare e di tradurre. Scopo del lettore è avvicinarsi al vero intento narrativo dell’autore di un libro, di accostarsi a quelle verità che lo scrittore rivela o che cerca di scoprire. È proprio questo il motivo che spinge me e i miei allievi alla lettura e all’analisi dei testi letterari, e al confronto con l’uomo che li ha scritti. Leggere insieme ad altri, durante le ore di lezione a scuola, studiare L’infinito, Il canto notturno di un pastore errante dell’Asia, introdurre un canto della Divina Commedia, tentare di chiarire le pagine de Il fu Mattia Pascal sono per me veri privilegi, premi, tocchi di grazia e speranza senza pari. Tutti i giorni nelle aule scolastiche i nostri occhi si riempiono di bellezza, il nostro cuore fa esperienza della meraviglia che solo un classico della letteratura puó ancora regalare. Quest’anno, in modo particolare, con un gruppo di studenti del IV e del V Liceo Classico stiamo approfondendo la conoscenza di Luigi Pirandello e della sua opera narrativa e teatrale. Non solo nelle ore curricolari, ma soprattutto il sabato mattina - giorno libero per me e per i miei studenti - accade il miracolo della scoperta; ci meravigliamo per la presenza dell’uomo, delle sue domande, delle verità che spesso non prendiamo in seria considerazione. Sono stati i ragazzi a chiedermi di vederci di sabato per un Caffè letterario sulle opere dello scrittore agrigentino e per preparare la loro tesina da presentare al concorso de I Colloqui Fiorentini. Grande è l’aspettativa dei miei alunni, indescrivibile il loro entusiasmo, infinito il mio stupore, quando arrivano puntuali per iniziare una nuova lezione, una nuova lettura del reale attraverso le parole dello scrittore. Affamati come dei lupi, non vedono l’ora di inoltrarsi nelle pagine e tuffarsi nell’ordito narrativo per confrontare la loro esperienza con il punto di vista del narratore, per seguire il racconto del protagonista di una novella, per togliersi la maschera insieme ai personaggi di Pirandello. È questa l’esperienza vissuta dai personaggi sulla scena ed è questo il desiderio dei nostri ragazzi: strappare dal loro volto la maschera che la società e loro stessi si impongono per vivere il dramma dell’esistenza. Leggendo Pirandello, invece, si è in presenza di un momento di grazia, quasi un tempo catartico, epifanico di scoperta, di rinvenimento della propria personalità; del gusto di capire e di viaggiare sullo stesso treno di Mattia Pascal, di Donna Mimma, di Adriana Braggi; di sentire il fischio del treno, come Belluca. Quando leggono con intensità, profondità e attenzione la grande letteratura, i ragazzi si “mettono in questione”, sfidano le “risorse della loro intelligenza”, come direbbe G. Steiner, si pongono le domande decisive. Leggendo Pirandello, uno di loro ha detto: «Io scopro di esistere non come un ruolo, ma come una persona, come un individuo pieno di domande e desideri». In compagnia dei testi della letteratura si può scoprire che non esistono solo ruoli e convenzioni sociali, c’è, viceversa, un “oltre” in tutto, come afferma Serafino Gubbio, protagonista dell’omonimo romanzo: «C’è un oltre in tutto. Voi non volete o non sapete vederlo. Ma appena appena quest’oltre baleni negli occhi d’un ozioso come me, che si metta a osservarvi, ecco, vi smarrite, vi turbate o irritate».

Nelle parole e nella mobile complessità della scrittura c’è qualcosa che cerca d’uscire dal silenzio, di significare attraverso il linguaggio. L’autore ha bisogno del lettore per aprire le porte del suo linguaggio, per far emergere la profondità intima in esso nascosta. Il lettore ha il compito di rompere quel muro di silenzio e far parlare le parole che hanno qualcosa da dire ad ognuno di noi, che ci ricordano chi siamo e cosa desideriamo. Leggere è come guardarsi allo specchio e vedere riflesso il nostro mondo, i nostri sentimenti, le nostre passioni. È l’esperienza che stiamo vivendo tra i banchi di scuola, tutti i giorni!