N.14 - Non di sole analisi…

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In queste prime settimane del 2017 la scuola è finita prepotentemente sulle prime pagine dei giornali. Non si era ancora spenta l’eco delle polemiche legate alla nomina del nuovo ministro dell’istruzione, che tanti commenti ironici aveva suscitato, che molte altre questioni hanno riscaldato le penne (dovremmo dire le tastiere) di tanti opinionisti.

Abbiamo iniziato al rientro dalle vacanze natalizie con le polemiche sulla chiusura delle scuole per il gelo nelle aule dovuto agli impianti malfunzionanti: «E così anche oggi si va a scuola domani» ironizzava ad esempio Aldo Cazzullo rispondendo ad una lettera di una lettrice o «Venite a scuola con il piumino» titolava il Messaggero riprendendo una circolare di un dirigente indirizzata ai genitori.

Si è proseguito con i commenti sui dati relativi alle assegnazioni del bonus premiale ai docenti. Gian Antonio Stella, sempre sul Corriere, in un pezzo dal titolo «Una scuola che boccia il merito», riprendendo un articolo di Gianna Fregonara e Valentina Santarpia, lamentava che «nel Lazio sono stati premiati il 47% dei prof, cioè uno su due», che «una scuola su 5 ha scelto di dividere i fondi in parti uguali» e che a Palermo nella metà delle scuole il premio «è stato assegnato sulla base dell’autocertificazione», cioè di un modulo dove l’insegnante deve barrare una sessantina di quiz tipo dichiarando ad esempio d’avere «spirito d’iniziativa, sviluppo del lavoro e soluzione rapida del problema». E concludeva amaramente: «L’idea che la scuola faccia eccezione a ogni gerarchia di merito, invece, pare essere saldamente imbullonata».

Un acceso dibattito hanno suscitato i Dossier di Tuttoscuola sulla mobilità degli insegnanti e di quelli del sostegno, che avrebbe coinvolto nell’avvio dell’anno scolastico 2016/17 250.000 persone, 1 su 3 circa. “Il grande caos: e agli studenti chi ci pensa?” sollevava oltretutto la preoccupazione centrale di assicurare agli studenti quella continuità didattica che sembra invece essere in secondo piano rispetto ad altre esigenze. Tra l’altro il dibattito si è sviluppato proprio mentre iniziavano a trapelare alcuni elementi dell’accordo tra MIUR e sindacati sulla mobilità dei docenti per l’a.s. 2017/18 che vedeva da una parte la soddisfazione dei sindacati, perché molte delle loro richieste erano state accolte, e dall’altra la denuncia da parte di molti osservatori di un arretramento rispetto ad alcune novità introdotte dalla legge 107 proprio sulla questione della stabilità dei docenti, sulle graduatorie ad esaurimento ancora una volta riaperte, sulla questione degli organici. Sulle pagine del Corriere, Gian Antonio Stella in un articolo “Gli studenti dimenticati dalle politiche scolastiche” chiosava «”Quante divisioni hanno, gli scolari?” La sarcastica battuta che Winston Churchill attribuì a Josif Stalin («Quante divisioni ha il Papa?») potrebbe davvero essere presa a prestito per spiegare come mai, al centro delle politiche scolastiche, non ci siano mai o quasi mai gli studenti. Costretti a subire la spiritata girandola di cattedre e insegnanti, per citare Giovanni Guareschi, senza poter “dir né ai né bai”».

Le polemiche sono state ulteriormente alimentate dalla lettera aperta di una preside, Nadia Vidale, dell’Istituto Tecnico Severi di Padova, indirizzata ad un suo docente, assente dall’inizio dell’anno, presentatosi per riprendere servizio il 23 dicembre, per poi rimettersi in congedo il 9 gennaio, il tutto a danno della continuità didattica per gli alunni, visto che la dirigente non aveva potuto richiamare la supplente (assai apprezzata) licenziata il 22 dicembre. Così di fronte alle proteste dei genitori e degli alunni concludeva: «Ma purtroppo, professore, io non trovo parole per spiegare: vuole dirlo lei, per favore? Cosa ci è venuto a fare, nella nostra scuola, il 23 dicembre?».

La domanda “Agli studenti chi ci pensa?” è tornata prepotentemente, ma con ben altro spessore e drammaticità, a seguito della terribile vicenda dell’omicidio commesso in complicità da due ragazzi diciassettenni. È tornata a galla la vera questione in gioco, la centralità dell’educazione, il vero investimento sui giovani e il vero e unico compito della stessa scuola. «I no impossibili dei genitori ai ragazzi. La santa alleanza (che manca) per l’educazione dei nostri figli», Antonio Polito; «L’abbandono della scuola. Dagli anni 80 la politica ha abdicato e ha lasciato sempre più agli esperti i poteri dei ministri, cancellando nei programmi ogni valenza educativa», Ernesto Galli della Loggia; «Famiglia e scuola senza autorità sono percepite come un ostacolo», Vittorino Andreoli. Susanna Tamaro richiamava la necessità di un cambiamento di prospettiva: «Educare non solo istruire contro il buonismo di Stato».

Così nei giorni in cui se ne commemorava la scomparsa, sono sembrate profetiche le parole del teorico della società liquida, Bauman, riportate in un articolo di Avvenire («Davanti al male non solo spettatori», Avvenire 10.01.2017) «Nel mondo accadono sempre più cose che sappiamo attendere una vendetta o una soluzione, ma la nostra capacità di agire, e in particolare la nostra attitudine ad agire efficacemente, sembra diminuire, schiacciata sempre più dall’enormità del compito».

È indispensabile affrontare l’emergenza educativa. Siamo consapevoli dell’enormità del compito.

Tra l’altro ci chiediamo (e proveremo a rifletterci insieme) se le proposte del Governo sulle Deleghe previste dalla legge 107 sono davvero ispirate alla centralità dell’educazione dei giovani.

Iniziamo il nuovo anno con la determinazione che per agire efficacemente occorre sempre, sempre ripartire dal desiderio e dalla responsabilità di ognuno. Vogliamo continuare a sostenerci in questa sfida.