N.8 - INVALSI: a che punto siamo

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Uno dei fermenti che agita le scuole italiane nei mesi di aprile e maggio è quello legato allo svolgimento delle prove Invalsi, che fin dalla loro prima applicazione, insieme a interesse e apprezzamento, hanno visto anche critiche, condanne e anche talvolta un vero e proprio rifiuto da parte di insegnanti e studenti. Quest'anno sono state introdotte alcune novità, anticipate già nel D.Leg. n. 62 del 2017, dove si annunciava che le rilevazioni nazionali sugli apprendimenti nella classe conclusiva del I ciclo avrebbero riguardato, oltre che Italiano e Matematica, anche Inglese (artt. 4 e 7). L'estensione delle prove all'ultimo anno del secondo ciclo d'istruzione (art. 19) è però rimandata all'anno scolastico 2018/19.

Da quest'anno i quesiti non sono uguali per tutti gli studenti, bensì equivalenti nelle difficoltà, poiché vengono attinti da una banca dati ormai notevole a disposizione degli autori Invalsi, con quesiti ancorati fra loro e quindi misurati su una stessa scala. L’ancoraggio ha permesso di identificare in modo empirico una scala di cinque livelli che descrive le abilità sondate dalle prove. Tali livelli, poi, verranno certificati individualmente per gli studenti del terzo anno della scuola secondaria inferiore, e dall'anno prossimo per quelli del quinto anno della scuola secondaria superiore, andando così ad integrare la certificazione delle competenze elaborata autonomamente dai consigli di classe.
Nello svolgimento delle prove, nelle settimane appena trascorse, sono emersi diversi aspetti problematici e criticità: ad esempio, le prove "computer based", on line, hanno dovuto fare i conti con gli spazi laboratoriali limitati e la reale connettività delle scuole; si sono presentate delle defaillances nel listening della prova d'Inglese, che hanno impedito agli studenti di rispondere in modo completo e/o corretto.

L’impressione è che le prove Invalsi si stiano svolgendo con uno smorzamento notevole delle posizioni estreme degli anni precedenti: senza grandi sorprese da parte degli alunni, che negli ultimi anni sono sempre più a conoscenza della tipologia di quesiti da aspettarsi, e con una certa attenzione da parte dei docenti a cogliere eventuali aspetti positivi di una tale metodologia e valutazione.

Il dibattito sulle Invalsi tuttavia non si è del tutto placato, tanto che l’Istituto ha ritenuto utile intervenire con un documento della sua presidente, la prof.ssa Anna Maria Ajello, 'Le prove Invalsi secondo l'Invalsi', in cui si ripercorrono le ragioni, i metodi e gli scopi della scelta legislativa di sottoporre gli studenti a tali prove, amplificata dall'applicazione della legge 107. Tra le altre affermazioni si legge nel documento: "le prove non misurano tutto. Non servono quindi a valutare né lo studente né l’insegnante, e sono solo uno dei tanti elementi dell’autovalutazione d’istituto. Ma spesso permettono di vedere quello che da soli è più difficile vedere, evitando il rischio di essere autoreferenziali" o ancora "La certificazione individuale delle competenze è un riconoscimento dei risultati delle prove. Non sostituisce la valutazione dei docenti e non è una 'seconda pagella'.".

Ma la discussione resta aperta. Alcune delle principali critiche alle prove sono stati efficacemente riproposte dall’economista Carlo Scognamiglio su Micromega: in barba alle dichiarazioni programmatiche, secondo l’autore, le prove inducono a cambiare gli insegnamenti in chiave costruttivista, a lavorare sulle capacità metacognitive contribuendo a creare nel discente, già da giovanissima età, una sorta di filtro ideologico per la lettura della realtà e dei rapporti umani; non favorirebbero un pensiero critico e libero. Inoltre il professore mette in guardia dal pericolo che la valutazione possa sganciarsi sempre più dal processo educativo, provocando tra l'altro una frantumazione psicologica e motivazionale nei giovani, impegnati a rispondere alle mille performances richieste dagli adulti senza coglierne un disegno unitario.
In realtà questo rischio è già presente nella scuola in base alla proposta didattica che ogni giorno gli educatori mettono in atto: non sempre il pensiero critico e una vera azione educativa sono al centro della pratica ordinaria, imbrigliata da mille lacciuoli anche burocratici. Si può dunque addurre – come fanno i critici delle prove - una responsabilità di tal genere ad un monitoraggio qual è quello delle Invalsi?

Certamente occorre osservare con attenzione, nel tempo, quali conseguenze porterà - a livello didattico, educativo, sociale - la sistematizzazione e gli scopi di una valutazione come quella in questione, ma nell'attesa di un'osservazione più lunga ed accurata probabilmente val la pena seguire il percorso compiuto in questi anni da Invalsi che, come è stato evidenziato dalla Ajello, può rappresentare uno sprone per la scuola italiana visto che, com'è evidente agli occhi di tutti, essa non gode certo di buona salute.

Anche in questo caso, come abbiamo sostenuto recentemente a proposito delle competenze, se le prove Invalsi rappresentano l’occasione per migliorare le conoscenze e le abilità in discipline fondamentali come l'Italiano, la Matematica e l'Inglese - sia attraverso una riflessione metodologica guidata nel tempo sia attraverso la riscoperta dei valori e dei significati delle discipline - questo aiuterebbe la scuola nella direzione di un sapere più argomentato e meno “scolastico” (nel senso deteriore di questo termine, cioè non realmente formativo). Infatti le conoscenze, abilità e competenze sondate nelle prove sono cruciali per la formazione degli studenti: riguardo all'insegnamento dell'Italiano vengono richieste le competenze di comprensione dei testi, da raggiungere attraverso il saper fare inferenze, il ricostruire la gerarchia delle informazioni, il capire le relazioni logiche fra i blocchi di testo e la formulazione di un giudizio motivato; riguardo alla Matematica vengono sondate le competenze necessarie per utilizzare diverse rappresentazioni degli oggetti matematici e per applicare i contenuti matematici alla risoluzione di problemi; riguardo alla lingua inglese vengono richieste le competenze di comprensione e uso della lingua, come nelle certificazioni linguistiche internazionali, sondate quest'anno attraverso operazioni di listening e di comprensione testuale.
Nella misura in cui, invece, le prove diventano uno spauracchio che mette in ansia i professori per il timore di essere valutati personalmente - fatto che viene esplicitamente e autorevolmente smentito -, allora l’operazione nazionale finisce con l’avere un effetto negativo anche al di là delle intenzioni: spesso assistiamo ad una vera sindrome ansiogena che si ripercuote negativamente sugli alunni, con un cambiamento ad hoc della didattica, fatto di insistite simulazioni, opuscoli venduti dagli editori anche per incrementare il difficile mercato del libro, stress da prestazione..., sommato a dinamiche negative fra colleghi che aumentano la competizione fra loro.

Ci auguriamo che, superando ogni sterile contrapposizione, le motivazioni degli specialisti Invalsi - peraltro ancora non del tutto diffuse con determinazione presso i docenti -, riscontrino il contributo di chi ogni giorno lavora con i ragazzi, con lo scopo di costruire da ambo le parti, senza pregiudizi di sorta, una scuola in cui il sapere non costituisca un diversivo intellettuale, ma una cultura viva capace di addentrarsi nella realtà con un significato da riscoprire e da vivere.