N. 8 - Istruzione professionale: il momento della svolta (forse)

La riforma dell’istruzione professionale è partita e interessa circa 150.000 alunni ed alunne di primo anno.

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La riforma dell’istruzione professionale è partita e interessa circa 150.000 alunni ed alunne di primo anno. Essa segue un suo iter legislativo, che ha avuto inizio con la legge 107/2015. La “Buona Scuola” vi ha posto una delle nove deleghe, poi compiutasi con l’emanazione del Decreto legislativo n. 61/2017, seguito da altri due decreti: prima il Dlgs 1208/ 2018, che ha recepito l’Intesa sottoscritta l’8 marzo 2018 - in sede di Conferenza Stato-Regioni - riguardo ai “criteri generali per favorire il raccordo tra il sistema dell'Istruzione Professionale e il sistema di Istruzione e Formazione Professionale e per la realizzazione, in via sussidiaria, di percorsi di istruzione e formazione professionale per il rilascio della qualifica e del diploma professionale quadriennale”; ed infine il Dlgs 92/2018 del 24 maggio, che ha definito il regolamento attuativo, dando avvio alla riforma con le classi prime del corrente anno scolastico.

Gli scopi della revisione sono sia il contenimento della dispersione scolastica e degli abbandoni, attraverso la personalizzazione del curricolo, sia una più adeguata risposta alle richieste del mondo delle professioni e del mercato del lavoro, nel rispetto delle esigenze territoriali, attraverso la revisione degli indirizzi, delle articolazioni e delle opzioni, potenziando le attività laboratoriali.

In effetti, se si considera che in Italia il tasso dei giovani che contemporaneamente non sono inseriti in un percorso scolastico o formativo e non lavorano (NEET) è al di sopra della media europea e che al Sud tale percentuale si raddoppia, questa riforma intercetta una situazione oggettivamente critica su cui non hanno avuto efficacia né l’autonomia scolastica - spesso non pienamente realizzata - né la riforma del Titolo V della Costituzione, che all’art.117 affida esclusiva competenza alle Regioni sull’Istruzione e sulla formazione professionale (IeFP). Nessun dubbio, dunque, che qualcosa bisognasse fare. Ma cosa sta accadendo?

In realtà, chi ha attenzionato la questione sin dall’inizio, ossia dall’aprile 2017, si è reso conto che la “scatola”, pur bella, si sarebbe dovuta riempire con molta attenzione e tenendo conto di alcuni passaggi. Il Regolamento attuativo apparso a maggio scorso dopo un anno dal decreto n.61, ha ‘riempito’ - in parte - la scatola con una tempistica che ha reso materialmente impossibile alle scuole dare opportunamente seguito a tutte le importanti novità organizzative che la riforma implica: personalizzazione e didattica per competenze e per assi, tutoraggio degli alunni, Piano Formativo Individuale, valutazione finale posticipata alla fine del secondo anno … La valutazione finale del primo anno, inoltre, diventa una valutazione intermedia di un ‘tempo lungo’ quale viene concepito il I biennio, concludendosi realmente solo alla fine del secondo anno.

Stando così le cose, la valutazione alla fine del biennio - nella percezione della comunità scolastica - sembra l’assenza di una valutazione realistica, ed all’interno dei consigli di classe finisce per creare difficoltà nella gestione dei debiti disciplinari degli alunni. Contrarre dei debiti significa prima o poi estinguerli, ma entro quali tempi se la conclusione del primo anno non è sostenuta da un concreto piano di accompagnamento al successo formativo degli alunni? E soprattutto: quali decisioni didattiche prendere, visto che non ci sono stati i tempi per rispondere alle novità? Inoltre: con quali risorse sarebbe possibile ottemperare i nuovi orientamenti? Ed infine: con quali modalità organizzative si ricomincia il nuovo anno?

Il 31 gennaio è scaduto il termine di prima stesura del Piano Formativo Individuale previsto per ciascun alunno a carico di un tutor, la cui figura non è riconosciuta da nessun contratto, eppure le Linee guida per la didattica non sono ancora state pubblicate dal MIUR ... Anche per questo, ad oggi, il raccordo con le Regioni in molti casi è rimasto ancora non declinato a livello territoriale.

Il rischio che purtroppo si sta concretizzando è che l’attuazione burocratica di una tale riforma, che presenta dei punti di forza indiscutibili, è sfasata per i tempi e i modi, ed è percepita come un cartellino (ancora un altro!!!) da timbrare: “carte” che distraggono tempo dalla vera natura dell’insegnare.
Ma è tutto qua? No. Perché, incredibilmente, un numero non indifferente di insegnanti si è messo in moto, studia, cerca di fare qualcosa di buono in una scuola che è ancora molto rigida a livello organizzativo, con le tante procedure burocratiche che riducono gli spazi di condivisione di un lavoro.

Ogni novità ci propone un coinvolgimento in prima persona, oltre che la maturazione di un giudizio di merito senza cui si rischia di svuotare il senso delle riforme, e magari anche di perdere un’opportunità di crescita professionale … Ma, d’altra parte, chi detta le riforme deve ascoltare la voce di chi le cose le prende sul serio e - irriducibilmente - entra in classe col desiderio di autenticità per sé e i ragazzi che incontra, disposto a una fatica che vale la pena perché orientata al vero scopo e alla vera natura dell’insegnare.