N. 9 - I giovani di oggi: un’occasione per essere adulti fino in fondo

i_giovani_d_-oggi_un_occasione_per_essere_adulti_fino_in_fondo.pdf140 KB

Ho sedici anni/Ma è già da più di dieci/Che vivo in un carcere/Nessun reato commesso là/Fuori/Fui condannato ben prima di nascere/Costretto a rimanere seduto per ore/Immobile e muto per ore/Io, che ero argento vivo/Signore/Che ero argento vivo/E qui dentro si muore (Daniele Silvestri, "Argento vivo" 2019).

Quest’anno anche a Sanremo la questione dei giovani e del disagio vissuto nelle aule scolastiche ha fatto capolino, ma con espressioni forti: la scuola un carcere; lo studente: seduto, immobile e muto per ore; qui dentro si muore… Ma è proprio questa la scuola? È questo il sentire dei giovani?
E chi sono i giovani che incontriamo oggi? È poi vero che sono preda dei blogger, non sanno concentrarsi su nulla e stanno solo in superficie? Ma la scuola riesce ancora ad incontrarli veramente? Sono queste le domande intorno alle quali hanno ruotato, lo scorso 16 febbraio, in Università Cattolica a Milano, gli interventi in occasione del Convegno promosso da CDO Opere Educative, Diesse, Disal, Il Rischio Educativo e Porto Franco. Il Convegno è stato seguito anche attraverso numerosi collegamenti nazionali e internazionali in videoconferenza.

Il punto centrale della giornata si è ben presto connesso ad altre domande cruciali: chi introduce i giovani al reale e li fa uscire dal "carcere" che vivono? Chi dà loro la forza e l'energia di stare di fronte alla nuda e cruda realtà ed essere argento vivo? Che cos'è la giovinezza, se non fiducia in uno scopo, attesa di un compimento? Un giovane vuole ragioni. E lo scopo è la ragione per cui uno cammina. Parlare di giovani, quindi, vuol dire parlare di adulti vivi, capaci di incarnare quella pienezza e quella tensione alla pienezza che ogni giovane chiede.

I giovani perciò non sono un “problema da risolvere”, ma l’occasione per essere adulti fino in fondo. Se guardati come un problema, i ragazzi si sentono “sbagliati”, si sentono classificati come oggetto che richiede una soluzione (il consulente di turno, la terapia…) e non si sentono all'altezza delle aspettative degli adulti, come ha sostenuto fermamente don Pierluigi Banna.

Eppure – asseriva la dott.ssa Luisa Leoni Bassani – i bambini sono ottimisti. Sono i giovani a diventare presto nichilisti: come mai? Che cosa è successo a questa generazione? Per motivi diversi, manca loro una casa: in larghissima parte passano dalla scuola alla palestra e tornano a casa a sera, dove trovano adulti sì tesi all’impegno educativo, ma come se si trattasse di uno sforzo, di una prestazione cui essi stessi non si sentono adeguati. Manca all’adulto la certezza che il solo fatto di esserci, di accogliere il figlio nella propria vita, di fargli compagnia con la propria vita, sia la posizione più adeguata per l’avventura dell’educazione.

Così – ha affermato il prof. Alberto Bonfanti – anche i giovani formulano i loro “dogmi”: che “a certe domande non c’è risposta”, che chi propone una risposta riduca la drammaticità della domanda, che niente meriti veramente una fatica e possa rappresentare una conquista. Ciò che però, alla prova dei fatti, li può muovere da una tale posizione è una risposta che s’incarna in chi li guarda fino in fondo e li stima più di quello che essi percepiscono di sé stessi, anche quando propone loro dei contenuti scolastici: ad esempio l’ “incontro” con alcuni filosofi. Una presenza concreta che abbia anche una dimensione affettiva: in tanto vuoto di speranza, "crederei ad un Dio che sapesse danzare" (Nietzsche). Per questo non si può insegnare senza coinvolgimento.

Ciò che porta tanti alla risposta violenta delle tossicodipendenze – come ha spiegato nel suo intervento Silvio Cattarina – è la mancanza di una promessa di bene, di adulti capaci di aver fede nel bene e certi che lo stesso diventare adulti sia un bene. I giovani hanno bisogno di un adulto che sappia dire loro: "tu non sei il tuo passato!" oppure: “smetti di guardare dentro di te, ai tuoi limiti, guarda invece se nel mondo c’è qualcuno che ti viene incontro, un bene che puoi incontrare!” o ancora: “il bene è sempre più grande di qualunque male!”. Il vero male, infatti, è avere un'anima che non grida e non desidera.

In conclusione, se si pensava di parlare del “problema dei giovani”, si è invece tornati a casa coscienti che la sfida è saper stare all’altezza di un desiderio espresso in forme tanto diverse da quelle di qualche decennio fa, o di tanto mutate condizioni di vita. La sfida è stare davanti ai giovani, a ogni giovane, con una presenza che incarni - e non a parole - un bene intravisto e vivibile.

Un compito che non si può svolgere da soli: occorre una compagnia di adulti che sostenga ciascuno in questo compito, come le associazioni promotrici dell’incontro provano a fare.