N. 5 - I dati OCSE e la possibilità di un cambiamento

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Subissati dal trantran scolastico quotidiano, i dati Invalsi - e tanto più i dati del rapporto OCSE PISA 2018, da poco pubblicati - rischiamo di farli diventare statistiche e numeri tra i tanti.
Diciamocelo: in fondo ogni anno escono i risultati dei test Invalsi, da quest’anno arricchiti anche da quelli della quinta superiore, e ogni anno, come docenti, abbiamo poco da rallegrarci perché i dati non sono sempre confortanti: ma che cosa possiamo fare per migliorarli?
Se da una parte andiamo curiosi a spiare i risultati della nostra scuola (anche nella recente indagine Eduscopio della fondazione Agnelli) o cerchiamo su "Scuola in chiaro" gli esiti delle scuole vicine, per confrontarli con i nostri, o leggiamo anche i dati internazionali, la domanda quasi inconfessata è sempre quella: che cosa possiamo fare per migliorare?
Sì, perché di un miglioramento c’è bisogno: gli studenti italiani risultano nella media solo in matematica, rispetto ai Paesi che hanno partecipato alle indagini Ocse Pisa. I quotidiani della scorsa settimana hanno fatto un gran parlare dei risultati scadenti ottenuti sulla capacità di lettura/comprensione di un testo: i ragazzi italiani si attestano tra il 23° e il 29° posto tra i 36 paesi Ocse, a livello di Lettonia, Lituania, Svizzera, Ungheria, Islanda e Israele, secondo un trend di peggioramento continuo che li ha visti perdere 11 punti rispetto al 2000 e addirittura 13 punti rispetto alla rilevazione del 2012. A livello di top performer (livelli 5 e 6), collochiamo appena il 5% dei nostri studenti, rispetto a una media internazionale del 9%.
Si mantiene invece stabile la differenza tra le diverse tipologie di scuole, con però un'interessante sorpresa: l’IeFP regionale e l’IP statale raggiungono gli stessi livelli, ed anzi in matematica i ragazzi degli IeFP superano quelli dei professionali.
Fortunatamente nel nostro paese ci sono minori differenze fra i ragazzi di diverso status economico-sociale, ma coloro che hanno livelli più alti non ottengono risultati paragonabili a quelli dei propri simili Ocse.
Come ben sottolinea il lavoro dedicato al nostro Paese a proposito della lettura, “non è stato possibile determinare una chiara direzione di cambiamento”. Come dire: sì, i nostri studenti peggiorano in italiano, però non in modo progressivo, ma a zig zag, con alti e bassi. Per cui è difficile individuare esplicitamente delle cause.
Così diventa ancora più significativo interpretare anche altri dati, oltre a quelli strettamente legati agli esiti scolastici, per cercare delle nuove piste di lavoro. I nostri ragazzi, ad esempio, passano più tempo dei loro coetanei stranieri su Internet (passando da 2 a 4 ore - di cui 1 mediamente a scuola - rispetto a Pisa 2012), ed inoltre hanno perso molto più tempo scolastico dei loro coetanei dei paesi Ocse a causa di assenze ed indisciplina di classe.
Già, perché - come riferisce il Rapporto italiano – “circa il 30% degli studenti in Italia (media Ocse: 26%) ha riferito che, in tutte o nella maggior parte delle lezioni di italiano, l’insegnante deve attendere a lungo perché gli studenti si calmino. Gli studenti che hanno riferito di questa difficoltà hanno ottenuto 21 punti in meno in lettura rispetto agli studenti che hanno riferito che questo non succede mai o succede solo in alcune lezioni”.
Forse non si parla abbastanza nelle scuole di indisciplina, o meglio se ne parla fin troppo, ma raramente se ne discute seriamente e si concertano interventi unitari, in una scuola in cui si confonde troppo spesso – forse– la capacità di ascolto in confidenza, dove le norme vietano il fumo e il cellulare, ma non pochi sono i professori che ne fanno uso apertamente, dove è facile prendere una decisione in comune per poi non rispettarla per entrare nelle grazie degli studenti…
La scuola risulta poco stimolante: per questo il 21 % dei ragazzi nelle indagini Ocse "ha saltato una giornata di scuola e il 48% degli studenti è arrivato in ritardo a scuola (...) In Italia, ben il 57% degli studenti ha saltato una giornata di scuola e il 45% degli studenti è arrivato in ritardo a scuola”.
Il cambiamento è possibile? Sì è possibile, ne siamo certi: ma forse occorre ripensare le azioni da mettere in campo, visto che gli ultimi decenni sono stati caratterizzati proprio da scelte (politiche, organizzative, pedagogiche) che miravano al miglioramento, ma che non si stanno affatto rivelando vincenti.
C’è un dato, nel rapporto OCSE, che ci sembra molto interessante: “circa il 74% degli studenti in Italia (media Ocse: 74%) è d'accordo o molto d'accordo sul fatto che il loro insegnante mostri piacere nel fare lezione. Nella maggior parte dei Paesi e delle economie, compresa l'Italia, gli studenti hanno ottenuto punteggi più alti in lettura quando hanno percepito il loro insegnante come più entusiasta”.
Come dire: è la qualità dell’insegnamento, o ancora, il clima che si respira a scuola, che possono fare la differenza, qualunque sia lo status socio-economico di provenienza degli studenti.
La strada dovrebbe essere proprio questa. Ma cosa vuol dire oggi puntare sulla qualità dell’insegnamento? E cosa rende migliore il clima della scuola?
Sono le domande che vorremmo raccogliere noi stessi per primi, perché il cambiamento d’epoca – come ci siamo richiamati alla Convention - ci chiede risposte nuove, o meglio ci chiede di riprendere prima di tutto sul serio le domande di fondo del mestiere di insegnanti e del fare scuola.
E sono le domande che rilanciamo per un dialogo anche con quanti vivono oggi le stesse preoccupazioni e la stessa passione.