N. 1 - Metti che un giorno in classe accada qualcosa

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Primi incontri con le classi: a un’insegnante di scuola superiore capita di entrare in una classe nuova e, sulla scorta del racconto di una brava collega, dopo pochi minuti e qualche raccomandazione sull’uso corretto delle mascherine (che ogni tanto si abbassano quasi inevitabilmente), inizia ad alzare l’asticella chiedendo da subito ai ragazzi di parlare in lingua, con l’ottimo proposito di metterli all’opera per potenziare le competenze comunicative… Risultato: nessun entusiasmo, nessun apprendimento significativo, niente di nuovo, insomma.

Stessa insegnante, altra classe nuova. Nessun proposito didattico in testa, il tempo trascorrerà ad annodare le relazioni e a spiegare il lavoro dell’anno, la questione della valutazione… L’insegnante li fa presentare ad uno ad uno, dà molto spazio alle domande, e pian piano nasce un dialogo interessante: i ragazzi iniziano a interagire, vogliono capire meglio alcune cose. Ad un certo punto i due dell’ultimo banco (che all’inizio dell’ora erano stati invitati senza alcun risultato a spostarsi davanti) si avvicinano e chiedono ad alcuni compagni di non disturbare perché, anziché curarsi dei discorsi che li avevano coinvolti fino a qualche minuto prima, vogliono proprio essere partecipi di quel dialogo!

L’insegnante esce dalla classe stupita e inevitabilmente riflette sulle due situazioni: perché la seconda lezione è risultata molto più interessante della prima, solo un caso? Che cos’è veramente accaduto? Qual è il punto che ha fatto spostare, anche fisicamente, i due ragazzi ed ha fatto diventare quell’ora un modus desiderabile per tutto l’anno?
Nessuna risposta scontata. Dopo qualche giorno alcuni amici insegnanti s’incontrano e – insieme alla protagonista - ne riparlano insieme. Sarà stato l’approccio a fare la differenza? Forse nel primo caso non ha suscitato alcun esito lo schema mentale di voler riprendere a far scuola nel migliore dei modi, ma senza dare spazio a quei ragazzi appena conosciuti che facevano anche fatica a stare in classe; mentre nel secondo caso i ragazzi sono stati prima conosciuti ad uno ad uno, poi interpellati su fatti che li riguardavano e il dialogo con l’insegnante è presto diventato anche dialogo didattico.

O forse la risposta è un’altra, che è possibile scoprire solo continuando a porsi la domanda e, rientrando in classe, rimanendo attenti ad accorgersi di ciò che accade.

Del resto, il tema della cura, delle relazioni significative e degli aiuti - di cui la scuola e l’intera comunità educante hanno bisogno per educare - sono al centro di uno dei dibattiti di oggi più interessanti sulla scuola. Continueremo a interessarcene nel dialogo attraverso questa newsletter, che quest’anno più che mai vuole essere uno strumento di compagnia e di confronto (per chi volesse è possibile interagire attraverso l’indirizzo mail comunicazione@diesse.org), nonché durante la prossima Convention di ottobre.