Intervista integrale a Giorgio Vittadini - febbraio 2021

Questo mese di febbraio, nonostante le preoccupazioni sempre nuove per la situazione sanitaria, sta assumendo i connotati di un TEMPO DI RIPRESA: si è ritornati su quasi tutto il territorio nazionale alla scuola in presenza; nella scuola primaria si sono sperimentate nuove forme di valutazione (il giudizio descrittivo anziché il voto); il neonato governo apre nuove prospettive…

Abbiamo chiesto a Giorgio Vittadini, docente di Statistica all’università Bicocca di Milano, nonché presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, un giudizio sui nuovi scenari che sembrano definirsi:

1. In quest’ultimo anno i temi legati alla scuola sono spesso apparsi sui giornali, eppure ci accorgiamo che il ruolo della scuola è stato a volte sottovalutato: che cosa pensi a proposito?
Innanzitutto rendiamoci conto che siamo di fronte a una tragedia: 90 mila morti in Italia e una crisi economica incredibile, la peggiore degli ultimi cento anni. Risolvere i problemi in questo contesto è difficile anche per le criticità che ci portiamo dietro, da ben prima della pandemia. Pensiamo solo all’arretratezza informatica che c’è in tante aree e strati della popolazione. Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione tre milioni di studenti hanno avuto difficoltà a seguire la didattica a distanza, soprattutto nel meridione. Il 30 per cento dei ragazzi non si sono collegati, altri si solo collegati saltuariamente, altri a fatica sono riusciti a seguire le lezioni e a imparare qualcosa. Nonostante i problemi, da quanto mi risulta, molti insegnanti hanno costruito delle risposte anche originali, organiche, reimpostando completamente la didattica. È talmente grave ciò che sta accadendo da imporci di guardare quello che di positivo è stato fatto, perché è questo che può suggerirci il prossimo passo da compiere. Anzi, penso che l’aver fatto della sanità, della scuola, dell’economia un pretesto per dividerci mostra la meschinità in cui siamo finiti: dichiarare quali sono i problemi deve servire per ripartire, non per fare polemica fine a se stessa. Mi sembra inevitabile che in certi momenti si vada per tentativi e ogni piccolo passo va visto come un successo. Credo che la cosa più importante adesso sia unire non dividere, offrire la propria creatività e cercare di imparare dai tentativi di risposta che pur sono stati messi in campo. Insomma, dare speranza.

2. Recentemente Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico, ha dichiarato che “in questa scuola precaria la ricchezza è nelle persone”: di quale ricchezza bisogna avere cura?
La ricchezza è in tutto, nelle persone e in ciò che creano, nei ragazzi, negli insegnanti, nelle istituzioni, in qualunque tentativo che cerchi di costruire. La crisi della scuola non nasce dalla pandemia, è precedente: è la crisi dell'educazione nella nostra società.
Bisogna essere più consapevoli della qualità della scuola italiana, che dà allo studente una preparazione di tipo generale che lo rende competitivo con qualsiasi scuola del mondo. Credo che ciò dipenda da una capacità di lettura complessiva della realtà e dalla centralità di una certa idea di persona, aperta, curiosa, creativa. Ci sono poi senz’altro degli aspetti critici, per esempio, mentre in alcune regioni i dati sull’apprendimento riportano livelli superiori alla media dell'Ocse, in altre regioni, i dati indicano livelli disastrosi. Certo, poi bisogna valutare se questi problemi nascono dalla scuola o se la scuola li erediti.
La scuola è - più di ogni altro - un posto in cui convivono luci e ombre, in cui “costruire” non è mai una scelta tra bianco e nero, in cui occorre continuamente capire che cosa si vuole costruire. Anche il lavoro che fate voi come associazione mi sembra che vada in questa direzione, ed è fondamentale perché ciò che più uccide la scuola è l’ideologia.

3. Quali attenzioni deve avere adesso la scuola - se vuol essere veramente inclusiva - nei confronti dei giovani e degli alunni più fragili, considerati anche i numerosi abbandoni registrati in quest’ultimo anno, la perdita di istruzione in termini di conoscenze e competenze?
Il problema degli abbandoni non è un problema di oggi, perché ogni anno 150.000 giovani lasciano la scuola, e ogni anno ci sono 2.200.000 giovani Neet (non studiano e non cercano lavoro): questo è un problema strutturale, che non nasce ora con la pandemia.
In quest'ultimo periodo che cosa ci ha insegnato la Dad? Che la scuola non ha appena a che fare con l'insegnamento delle nozioni, ma ha a che fare con la relazione. A breve uscirà per Il Mulino un libro che ho curato insieme a Giorgio Chiosso e Anna Maria Poggi, “Viaggio nelle character skills”, che mette a tema le capacità non cognitive, legate ad alcuni tratti di personalità, che tanto impattano sulla capacità di apprendere. La scuola, sia per i fragili che per i non fragili, è chiamata a considerare anche dimensioni quali, motivazione, creatività, autonomia, apertura mentale. Rinforzare queste qualità potrebbe significare un minor tasso di abbandono per i più fragili e un miglior apprendimento per i più dotati. Quanti docenti potrebbero raccontare di aver “recuperato” l’interesse allo studio dei ragazzi entrando in rapporto con loro, oppure migliorato la resa scolastica lavorando sull’autonomia e sulla sicurezza. Il tema dei character skills non riguarda solo il rispetto per l’umanità degli studenti, ma anche l’evoluzione delle metodologie didattiche, tanto più necessaria adesso, quando la velocità delle innovazioni rende decisiva la capacità di “imparare a imparare”.

4. Anche dal punto di vista istituzionale, una delle priorità per la ripresa del Paese, anche nell’agenda del neo-presidente Draghi, è l’istruzione. Al di là delle intenzioni, cosa vuol dire mettere al centro delle politiche nazionali la scuola e l’educazione dei giovani?
Come sappiamo, il presidente Draghi ritiene educazione, istruzione e formazione il cuore dello sviluppo. La scuola di Chicago nel 1960 con Gary Becker ha ricevuto il premio Nobel dimostrando, per la prima volta, il nesso tra aumento dell'istruzione e aumento di produttività e sviluppo. In Italia abbiamo il 19 per cento circa di laureati, mentre negli USA sono il 40 per cento. I Paesi che hanno livelli di Pil e qualità della vita più alti sono quelli che hanno una qualità d'istruzione migliore.
L'economia non cresce con la finanza, non cresce con le infrastrutture: la redistribuzione, nel lungo periodo, non si fa con i bonus o con l'assistenzialismo, ma facendo crescere l'istruzione.
Penso che il tema della scuola non è uno dei temi prioritari, ma è addirittura “IL” tema, non uno dei temi accanto a turismo, tempo libero o altro! Se non riusciamo a portare più persone a studiare, a non abbandonare, a laurearsi, a qualificarsi, non riusciremo a far rimettere in gioco un Paese che, ricordo, prima della pandemia era il ventisettesimo paese dell'OCSE, su 28, per crescita economica.
Allora da questo punto di vista voi insegnanti, voi associazioni - anche se vituperati, anche se vi aggiornate e lavorate senza averne riconosciuto il merito, e siete sottopagati - siete il cuore dello sviluppo del paese. Io penso quindi che l'investimento anche sui giovani insegnanti, la formazione, sia il punto cruciale per cui il nostro Paese può ricominciare a crescere, il punto cruciale per la crescita dei prossimi anni.
Quindi credo che, in questo frangente cruciale in cui si inizia a rientrare a scuola in presenza, nell'avvento politico di Draghi, il tema dell’istruzione e del ruolo della scuola sia una riflessione importante.
Credo che anche un'associazione come la vostra abbia un ruolo importante nella vita del Paese.