- Bianca come il latte, rossa come il sangue di Giacomo Campiotti, sceneggiatura di Fabio Bonifacci e Alessandro D'Avenia (dal romanzo di A. D’Avenia), con Filippo Scicchitano, Gaia Weiss, Aurora Ruffino, Luca Argentero ecc.
Grande successo presso il pubblico adolescente (ma non solo!), il romanzo di Alessandro D’Avenia viene portato sullo schermo da Giacomo Campiotti, affermato regista televisivo, ma con un interessante passato nel cinema (brillante il suo esordio nel 1989 con Corsa di primavera) che ha voluto girare un film “ad altezza di ragazzo”, «assecondando anche nella fotografia e nella composizione delle inquadrature le idealizzazioni, gli schematismi e i bruschi cambi di umore tipici dell’adolescenza», per offrire di lei un ritratto lontano dagli attuali stereotipi, «senza improvvisi rovesci sentimentalisti o cadute nel cinismo», finalmente aperto alla speranza e anche a una dimensione religiosa che appare quasi sempre assente in tutte le pellicole “adolescenziali” o “giovaniliste” degli ultimi anni. La storia di Leo, Beatrice e Silvia è narrata dal regista con grande sensibilità, costruendo un film «semplice come sanno essere le storie vere, quelle che nascono dall'urgenza dell'autenticità», ben sorretto dagli attori, con qualche dubbio solo per l’interpretazione del Professore da parte di Luca Argentero, più a suo agio nei passaggi brillanti che in quelli drammatici, in grado di far riflettere i giovani spettatori sui temi della vita, della maturazione della propria identità, del dolore e della morte.
(http://biancacomeillatterossacomeilsangue.msn.it/)

- Anna Karenina di Joe Wright, sceneggiatura di Tom Stoppard (dal romanzo di Lev Tolstoj), con Keira Knightley, Jude Law, Aaron Taylor-Johnson, Kelly Mcdonald, Matthew Macfadyen, Domhall Gleeson, Alicia Vikander, Olivia Williams, Emily Watson, Ruth Wilson ecc.
Il romanzo di Tolstoj, una complessa riflessione non solo sulla passione adulterina e tragica della protagonista, ma anche sull’amore, il matrimonio e sul loro ruolo nella ricerca della felicità, viene offerto in una trascrizione cinematografica che, se a livello di sceneggiatura ricrea l’equilibrio letterario dei personaggi, osservati con intelligenza e sensibilità, risulta meno convincente nell’eccessiva ricerca di originalità perseguita da Joe Wright, già regista dell’ottimo Orgoglio e pregiudizio, che sceglie un’impostazione elegante, ma molto cerebrale. La scelta, infatti, è quella di raccontare la storia, con sostanziale fedeltà, nel contesto del metateatro: i protagonisti non si muovono nella città, ma in un grande teatro, di cui la messa in scena sfrutta il palcoscenico, la platea, i palchi e il dietro le quinte, per costruire i vari luoghi della storia (dalle sale da ballo alle stazioni dei treni e alle piste per le corse dei cavalli). La vita diventa uno spettacolo, metafora di un mondo dove ogni rapporto si svolge sotto il giudizio della società, che tollera l’adulterio se praticato con leggerezza e secondo le regole, ma lo condanna quando diventa passione oppure ideale. Anche l’interpretazione non appare all’altezza: Kiera Knightley fa rimpiangere Greta Garbo, Aaron Johnson convince nella prima parte, quando è lo spietato seduttore, meno quando è in preda alla passione e al dolore, mentre più riuscita è l’interpretazione di Alexei Karenin da parte di Jude Law.
(http://www.annakarenina-ilfilm.it/)

- Zero Dark Thirty di Kathryn Bigelow, sceneggiatura di Mark Boal, con Jessica Chastain, Jason Clarke, Joel Edgerton, Jennifer Ehle, Mark Strong, Kyle Chandler, Edgar Ramirez ecc.
Il film di quella che è probabilmente la più grande regista attualmente in attività si pone nel solco del precedente film “bellico” di Kathryn Bigelow, Hurt Locker, dedicato agli artificieri nell’Iraq occupato dagli americani dopo la caduta di Saddam: va infatti va oltre il puro valore cronachistico della caccia a Osama Bin Laden, per diventare un efficacissimo studio di carattere. La protagonista è l’agente della CIA Maya, caratterizzata da «una dedizione totale a una missione che diventa un destino, tra mille imprevisti, Evitando facili psicologismi la regista «affida la “motivazione” della missione unilaterale di Maya alle voci delle vittime innocenti dell’11 settembre, che si susseguono stupefatte, terrorizzate e infine disperate di fronte all’orrore sullo sfondo di uno schermo nero», anche se, a dieci anni dal tragico evento, la dedizione di Maya alla caccia al terrorista diventa quasi un’ossessione, assorbendo in sé ogni aspetto della vita. La regia, asciutta ed efficace nella messa in scena e nel montaggio, si adatta perfettamente alla storia, ricostruisce con scrupolosa precisione i «metodi di lavoro dell’Intelligence, le dinamiche maschili al suo interno, la solitudine al femminile» e culmina «nella lunga sequenza finale dedicata al raid vero e proprio, in uno stile documentaristico e sporco che rende ragione della confusione e dell’incertezza, ma, nel rifiuto della spettacolarità più banale, ottiene paradossalmente un effetto adrenalinico ancora più potente» al cui termine lo spettatore si sente un po’ “svuotato”, proprio come la protagonista che, dopo aver realizzato lo scopo della sua vita, proprio la mancanza di altri riferimenti, non sa più nemmeno dove andare.
(http://zerodarkthirty-movie.com/)

- Educazione siberiana di Gabriele Salvatores, sceneggiatura di Sandro Petraglia e Stefano Rulli (dal romanzo di Nicolai Lilin), con John Malkovich, Peter Stormare, Arnas Fedaravicius, Vilius Tumalavicius, Eleanor Tomlinson ecc.
Tratto dal romanzo semiautobiografico di Nicolai Lilin, autore russo che scrive in lingua italiana, l’ultimo film di Gabriele Salvatores racconta una vicenda apparentemente lontana dalla realtà italiana e porta lo spettatore a conoscere in un mondo caratterizzato da rigide regole e tradizioni, che hanno permesso alla comunità “deportata” dei siberiani, vittima della violenza di Stalin, di
conservare la propria identità nel "ghetto" di Fiume Basso. Tale mondo si incarna nella figura autorevole di nonno Kuzja, che al bambino e poi al ragazzo che gli è stato affidato cerca di trasmettere la morale della sua gente, un misto di religiosità e violenza, in cui si mischiano contradditoriamente il rifiuto della droga e l’obbligo della vendetta. L’ordine che su queste regole poggia sta però per essere travolto dal crollo dell’impero sovietico e il primo a esserne vittima è Gagarin, compagno di infanzia e di prime imprese criminali di Kolima, insieme a lui iniziato da nonno Kuzja alle rapine e alla condivisione “comunitaria” del bottino. Il film, molto carico di continui flash back, che talvolta ne rendono difficile la piena comprensione, diventa l’epopea di un giovane eroe che «vede progressivamente messi in crisi i suoi valori e i suoi riferimenti». Rispetto al romanzo, molto violento soprattutto nella parte carceraria, abbastanza in ombra nella trasposizione cinematografica, il film appare più convenzionale, meno emozionante, molto legato alla bravura di un John Malkovich sempre all’altezza, ma anche a quella due giovani attori lituani che ne sono efficaci protagonisti, mentre più debole appare la folta schiera dei comprimari, spesso semplicemente pittoreschi.
(http://www.educazionesiberianafilm.it/)

- Il grande e potente Oz di Sam Raimi, sceneggiatura di Mitchell Kapner e David Lindsay-Abaire (dal romanzo di L. Frank Baum), con James Franco, Michelle Williams, Mila Kunis, Rachel Weisz ecc.
Il prequel de "Il Mago di Oz" di Victor Fleming (1939), liberamente tratto da "I libri di Oz" di L. Frank Baum e diretto da Sam Raimi (il regista della trilogia di "Spider-man"), si collega molto al suo predecessore, soprattutto pe r il gioco cromatico iniziale che, dal grigio della normale realtà, introduce al colore innaturale del mondo di Oz. Naturalmente, con il mega budget messo a disposizione dalla Disney e con tutte le nuove tecnologie del XXI secolo, il risultato, per costumi, scenografie ed effetti speciali, è straordinario. La banale storia di Oscar Diggs, prestigiatore da fiera di paese che, presentandosi come “il grande e potente Oz”, gira per il Kansas offrendo qualche trucco di bassa lega e promettendo eterno amore alle ingenue ragazze di campagna, diventa presto una fantastica avventura in una sorta di realtà parallela, nella più «spettacolare parata di forme e colori che la fantasia possa immaginare», in cui il protagonista (un ottimo James Franco) finisce per schierarsi a difendere i più deboli dalle perfide streghe cattive (Mila Kunis e Rachel Weisz). Mancano i personaggi classici del romanzo e del vecchio film (il leone, l’uomo di latta e lo spaventapasseri), sostituiti da altri personaggi ugualmente simpatici: una scimmietta volante, una bambola di porcellana, la strega buona Glinda (Michelle Willliams). Il film è forse troppo lungo, ma rimane una gioia per gli occhi e anche per il cinefilo in cerca di citazioni, finendo per essere, oltreché la storia di un percorso di maturazione del protagonista, che da ciarlatano egoista e donnaiolo si trasforma in un grande e potente illusionista a fin di bene, la «celebrazione esplicita e ripetuta della più grande delle illusioni, il Cinema».
(http://www.disney.it/il-grande-e-potente-oz/)

- Lincoln di Steven Spielberg, sceneggiatura di Tony Kushner, John Logan e Paul Webb, con Daniel Day-Lewis, Tommy Lee Jones, Sally Field, David Strathairn ecc.
Film spielberghiano, ma forse un po’ spiazzante rispetto alla consueta spettacolarità degli altri lavori del grande regista americano: non mancano molti elementi del cinema di Spielberg, come la confezione perfetta ed elegante, la cura maniacale dei dettagli scenici (ambientazioni, costumi, scenografie), un grande cast fra cui emergono Daniel Day-Lewis (Lincoln) e Tommy Lee Jones (il deputato Stevens), sorretti da una schiera di ottimi comprimari (si fa per dire…), quali Sally Field, Hal Holbrook, James Spader, ma il film, che si inserisce in quel filone della cinematografia di Spielberg caratterizzata dal contenuto civile e umano (Schindler’s List, Amistad, Il colore viola), è soprattutto un “film da camera”, girato prevalentemente in interni, con ampio spazio ai dialoghi, che intende portarci «dentro i luoghi del Potere americano: la Casa Bianca, la Camera dei deputati », per raccontare, rendendo intima e interiore una questione di politica e giustizia universale, il tentativo di Lincoln, ma anche del suo dal rivale Stevens, di “comprare” voti per far passare il 13° Emendamento che avrebbe abolito la schiavitù negli Stati Uniti d’America. La sceneggiatura non è sempre facilmente seguibile da uno spettatore non americano, soffermandosi molto sugli aspetti giuridici e sugli intrighi di una lotta politica fatta anche di «di insulti e attacchi personali, compromessi difficili da digerire, tentazioni populiste ed episodi di corruzione» e lasciando quindi «poco spazio al pathos e alla commozione». Tuttavia è un film ricco di spunti, narrativamente rigoroso, lontano da soluzioni drammaturgicamente facili o da banalizzazioni, in cui la regia si assume un compito “didattico”, per realizzare un “dietro le quinte” della storia americana in grado di far riflettere lo spettatore più avveduto sul «vero senso del fare politica malgrado ciò che comporta nel bene e nel male» attraverso un personaggio proteso «alla ricerca di un Bene più grande oltre il compromesso e oltre l'interesse privato, alla ricerca del Bene più prezioso, la libertà».
(http://thelincolnmovie.com/)

- Vita di Pi di Ang Lee, sceneggiatura di David Magee (dal romanzo di Yann Martel), con Suraj Sharma, Irrfan Khan, Tabu, Rafe Spall, Gérard Depardieu ecc.
L’ultimo film di Ang Lee è una storia di sopravvivenza, un racconto di formazione, ma anche «una meditazione spirituale e metafisica sul destino dell’uomo e sul suo rapporto con Dio». La storia di Piscine Molitor Patel, un ragazzino innocente e curioso, è quella della condivisione di 300 giorni in mezzo all’Oceano con una tigre del Bengala chiamata Richard Parker (il nome deriva da
un personaggio delle “Avventure di Gordon Pym” di Edgar Allan Poe), durante i quali Pi dovrà solo fare affidamento sulla sua intelligenza per poter sopravvivere, mentre la tigre diventerà per il
ragazzo una vera e propria ancora di salvezza, ma soprattutto «una porta aperta verso l’infinito che gli parla, un segno della presenza del Divino, che agisce con modalità misteriose e spesso violente, ma sempre chiamando l’uomo al destino che gli è dato». Certo, agli occhi di Pi le religioni forse non sono altro che le storie che l’uomo racconta o si inventa per trasmettere qualcosa che non si può spiegare ma solo incontrare e verso cui l’atteggiamento più giusto è la sottomissione e l’offerta totale. Questa vaghezza sincretista costituisce insieme la forza e la problematicità di Vita di Pi, che gli è valso un grande successo fra i pubblico asiatico, in particolare quello indiano, dove il contrasto i drammi legati alla realtà di vite difficili e magia e sogno si legano indissolubilmente, facendo di quella terra un «paese simbolo per vite distrutte, sofferte, sottoposte a prove indicibili, prima di poter giungere alla necessaria illuminazione/realizzazione». Così, tra innumerevoli peripezie, pericolosi attacchi mortali, tremendi uragani, il protagonista prende sempre più coscienza di sé e del proprio talento, sorretto dalla speranza e dalla fede in Dio, i «porti sicuri nei quali ci dobbiamo rifugiare nei momenti di tempesta», grazie ai quali superiamo il dolore, la solitudine, il senso della perdita, riacquistando la spinta vitale, la passione per la vita, la capacità di dare un significato alla nostra esistenza terrena.
(http://www.lifeofpimovie.com/)

- Argo di Ben Affleck, sceneggiatura di Chris Terrio, con Ben Affleck, Alan Arkin, John
Goodman, Bryan Cranston ecc.

Il terzo film del popolare attore Ben Affleck è un ottimo thriller politico, con una trama coinvolgente ed emozionante: la vera storia di sei funzionari dell’ambasciata americana a Teheran, che dopo l’attacco dei khomeinisti si rifugiano nella residenza dell'ambasciatore canadese e che vengono liberati da una straordinaria operazione della CIA, che utilizzerà la copertura della realizzazione di un finto film canadese per riportare in patria i diplomatici. Il film di Affleck, particolarmente curato nel montaggio, nella messinscena e nelle ambientazioni, coniuga il rispetto della verità storica con il gusto per lo spettacolo tipicamente hollywoodiano, sorretto da un manipolo di bravissimi attori, sia nelle parti dei personaggi principali sia nei comprimari ed è capace «di fondere l'azione da cinema di guerra della prima parte con la commedia hollywoodiana della seconda e infine la tensione del dramma storico della terza». Dietro alla vicenda c’è comunque il confronto fra gli Stati Uniti, «terra di libertà e dove il cinema e in particolar modo il cinema hollywoodiano è espressione di libertà e di intraprendenza», e l’Iran, in procinto di cadere dal crudele dominio dello Scià nel fanatico e intollerante regime degli Ayatollah.
(http://argothemovie.warnerbros.com/)

- Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato di Peter Jackson, sceneggiatura di P. Jackson, Philippa
Boyen e Guillermo Del Toro (dal romanzo di J. R. R. Tolkien), con Martin Freeman, Ian
McKellen, Richard Armitage ecc.

Dopo il grande successo del ciclo de Il Signore degli Anelli il regista neozelandese Peter Jackson propone il primo capitolo de Lo Hobbit, il primo libro della saga della Terra di Mezzo, scritto da Tolkien negli anni ‘30 del secolo scorso come fiaba per bambini. Il prequel arriva nei cinema in una versione tecnicamente impressionante, sfoggiando non solo la tridimensionalità, ma, grazie alle riprese a 48 fotogrammi al secondo, con una nitidezza e definizione letteralmente imparagonabili. La scelta di ricavare tre film dal romanzo, chiaramente dovuta a esigenze commerciali, è abbastanza discutibile se si pensa che Lo Hobbit è circa un quarto de Il signore degli Anelli. Il regista ha optato per «un’aderenza più che letterale al testo», inserendo scene e dialoghi che, sebbene utili per chi non ha letto Il Silmarillon, non compaiono nel libro. Panorami ed effetti speciali sono eccezionali, anche se l’utilizzo della tecnica a 48 fotogrammi ha suscitato qualche critica, così come l’andamento leggero e poco epico di tutta la prima parte del film, che corrisponde comunque all’intento del romanzo di Tolkien, ben diverso dalla trilogia del Signore degli Anelli, «impregnato di un'epica malinconica e per certi versi inquieta», mentre Lo Hobbit appare «più sereno e naïf». Ottima l’interpretazione dei “nuovi” Martin Freeman (Bilbo) e Richard Armitage (Thorin Scudodiquercia). Alla fine il film, nonostante qualche difetto, di cui comunque non erano esenti anche i primi due capitoli del Signore degli Anelli, coniuga in modo pressoché perfetto il tono epico e quello comico, l’avventura e il sorriso, con alcune sequenze veramente mozzafiato (l'attacco di Smaug a Erebor, la montagna dei nani, l'incontro con Gollum e lo scontro conclusivo sugli alberi). Molto bella anche la colonna sonora di Howard Shore e la suggestiva “Misty Mountains”, il canto intonato dai nani nella casa di Bilbo.
(http://wwws.warnerbros.it/thehobbitpart1/dvd/)

- Venuto al mondo di Sergio Castellitto, sceneggiatura di S. Castellitto e Margaret Mazzantini (dal romanzo di M. Mazzantini), con Penelope Cruz, Emile Hirsch, Pietro Castellitto, Jane Birkin, Sergio Castellitto ecc.
Quarto film da regista di Sergio Castellitto tratto dall’omonimo romanzo omonimo della moglie Margaret Mazzantini, in cui, a otto anni di distanza dall’ottimo Non ti muovere, il regista ripropone nelle vesti di protagonista un'intensa Penelope Cruz Non è certo il migliore anche se non mancano spunti interessanti. Il tema forte del film e del romanzo è il tentativo di «descrivere e addentrarsi in un mondo femminile a partire dalla ferita più dolorosa che una donna possa patire, l'impossibilità o comunque la difficoltà nel mettere alla luce dei figli». Tuttavia lo scopo non appare pienamente raggiunto: i tanti nodi del romanzo (l'amore tra Gemma e Diego, un fotografo americano che la donna conosce a metà degli anni ‘80 in Jugoslavia; l'amicizia che li lega al club degli artisti slavi che fa capo a Gojko, il poeta slavo che invita la donna a Sarajevo a visitare una mostra sulla guerra; la crisi tra i due causata anche dai tentativi falliti di rimanere incinta; il rapporto di Gemma con il figlio adolescente, i conti da chiudere col passato) non sono adeguatamente risolti dalla trasposizione filmica: la dimensione narrativa non è sempre fluida, i due piani narrativi, presente e passato della vicenda, sono scarsamente omogenei, con troppe ellissi e tagli importanti, l’interpretazione di Emile Hirsch (l’eccezionale protagonista di Into the Wild) è spesso sopra le righe, molti personaggi secondari appaiono convenzionali, la colonna sonora è spesso invadente. Soprattutto la sceneggiatura della coppia Castellitto-Mazzantini, non riesce a dar vita a caratteri cinematografici efficaci, in cui predomina un’artificiosa letterarietà.
(http://www.medusa.it/film/1116/venuto-al-mondo.shtml)

- The Twilight Saga: Breaking Dawn – Parte seconda di Bill Condon, sceneggiatura di Melissa Rosenberg (dal romanzo di Stefanie Meyers), con Kristen Stewart, Robert Pattinson, Taylor Lautner, Dakota Fanning ecc.
Dopo quella di Harry Potter si chiude anche la saga di Twilight, che a livello editoriale ha rappresentato un vero e proprio fenomeno per gli adolescenti di tutto il mondo. Breaking Dawn Parte seconda completa il lunghissimo, e talvolta noioso, antefatto della prima parte, in cui in pratica l’evento più drammatico era la nascita della figlia di Edward e Bella: il film, pur con un maggiore dispiego di mezzi e azione, non risulta pienamente convincente, ma comunque superiore al suo predecessore, per non parlare di New Moon (il peggiore in assoluto) e di Eclipse. Il centro della vicenda è la natura della piccola Renesmee, mezza umana e mezza vampira, che offre ai Volturi il preteso per cercare di eliminare i Cullen e soprattutto per tentare di impadronirsi delle abilità di veggente della vampira Alice. Come già nella prima parte c’è un certo squilibrio nella sceneggiatura, fra un incipit che sembra non finire mai e le sequenze finali, molto più concitate e avvincenti, per culminare nella battagli fra i “nostri” e i Vulturi, che sembra configurare un vero e proprio colpo di scena, almeno per chi non ha letto il libro. La saga si conferma così profondamente intrisa di romanticismo, dove l’amore « è tragico solo nelle premesse e mai negli esiti», mentre i dilemmi esistenziali, per es. su mortalità ed eternità, vengono solo accennati e poi immediatamente relegati sullo sfondo.
(http://www.breakingdawn-themovie.com/)

- Diaz - Don't clean up this blood di Daniele Vicari, con Elio Germanio, Claudio Santamaria,
Jennifer Ulrich, Renato Scarpa ecc.

Il film di Daniele Vicari, autore di Il mio paese, un viaggio nell'Italia che soffre, povera e sfruttata, è una cronaca dei fatti della Diaz e non un romanzo o un'opera di fiction: infatti, il regista decide di raccontare solo i fatti della Diaz e di basarsi nel racconto sugli atti processuali dei due processi di primo e secondo grado che hanno visto condannati 25 imputati su 28 per vari capi d'imputazione come lesioni gravi e calunnia. La scelta di dare alla vicenda un taglio cronachistico comporta, dal punto di vista cinematograficamente, alcuni problemi, come l'impossibilità di ricondurre a un unico o a pochi punti di vista la narrazione, o la rinuncia alla possibilità di dar corpo alle tante figure presenti su cui gli spettatori vorrebbero sapere di più: coerentemente con il taglio cronachistico il regista dà spazio a tantissimi punti vista e ci restituisce una narrazione frammentata cui dà unità il montaggio. Quello che forse manca al film è la dimensione più ampia del contesto. Non si sa nulla dei ragazzi picchiati né del perché i poliziotti facciano il blitz, né delle ragioni del Genoa Social Forum, così come non viene toccato alcun aspetto di natura politica. I ragazzi sono rappresentati come una folla festante di ragazzi pacifici, dimenticando però le colpe delle frange più violente dei manifestanti, che devastarono la città di Genova, che nella pellicola di Vicari praticamente scompare. L'abbandono di ogni riflessione di natura politica è un punto debole, scelta forse dovuta al desiderio di evitare polemiche e difficoltà, che priva però il film della possibilità di offrire allo spettatore un quadro più complesso e veritiero dei fatti e ne impedisce una piena comprensione.

- Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana, sceneggiatura di Stefano Rulli, Sandro Petraglia e M. T. Giordana, con Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino, Fabrizio Gifuni,
Michela Cescon, Laura Chiatti, Giorgio Colangeli, Omero Antonutti, Luigi Lo Cascio ecc.

Il film di Marco Tullio Giordana si pone all’interno di un percorso coerente del suo lavoro registico, a partire da Maledetti vi amerò, una pellicola sugli inizi del fenomeno terroristico, fino a La meglio gioventù, storia di alcuni giovani e delle loro speranze e delusioni nate negli anni ’60. Romanzo di una strage cerca di offrire una lettura ambiziosa di uno dei momenti chiave della storia italiana del secondo Novecento, la strage di Piazza Fontana, a cui seguirono la morte dell’anarchico Pinelli e, alcuni anni dopo, l’assassinio del commissario Calabresi. Il lavoro di Giordana ha fatto molto discutere e si è attirato molte critiche: pur all’interno di un’efficace rievocazione visiva e narrativa, che riesce a «comunicare l’angoscia di un Paese sull’orlo di una guerra civile», c’è chi ne ha contestato l’adesione alla “teoria del doppio attentato” (uno di destra, mortale, l’altro anarchico e solo dimostrativo), chi non ne ha apprezzato la netta affermazione dell’estraneità del commissario Calabresi alla morte di Pinelli, e che invece ne ha rimproverato la sottovalutazione della feroce campagna d’odio, soprattutto di “Lotta Continua” contro lo stesso commissario. Inoltre Romanzo di una strage ha molti momenti didascalici, utili per chi non conosce fatti e personaggi, ma francamente inutili per gli altri, che spesso trasformano il film in una sorta di “bigino” degli “anni di piombo”, in cui funziona la sintesi, ma i dettagli risultano «poco curati e superficiali». Ciò nonostante l’opera di Giordana si fa apprezzare soprattutto nella capacità di rappresentazione dei drammi di alcuni personaggi, in particolare Pinelli e Calabresi, ottimamente interpretati da Pierfrancesco Favino e Valerio Mastandrea, «sorprendenti nel sottrarsi al rischio corso da un attore chiamato a interpretare un personaggio reale» e anche della tragedia delle due figure femminili di mogli-madri (Licia Pinelli e Gemma Calabresi) nell'interpretazione misurata e composta di Michela Cescon e Laura Chiatti, che danno al film i pochi momenti di tenerezza. Meno riuscito o parziale appare nel disegnare le figure di altri personaggi, come Giuseppe Saragat (Omero Antonutti), ridotto a figura «banale e unidimensionale e storicamente poco attendibile», e lo stesso Aldo Moro, presentato «come un uomo politico alle soglie della disperazione, che auspica confusamente un’apocalisse italiana per ripartire da zero», mentre delle sue più profonde convinzioni e soprattutto della sua fede cristiana scompare ogni traccia.

- Molto forte incredibilmente vicino di Stephen Daldry, sceneggiatura di Eric Roth (dal romanzo di Jonathan Safran Foer), con Tom Hanks, Sandra Bullock, Thomas Horn, Max von Sydow, Viola Davis ecc.
Si tratta di uno dei migliori film “post 11 settembre”, che dimostra come le sue ferite, umane e sociali, non siano ancora rimarginate. Il regista, già autore di alcune pellicole interessanti (Billy Elliott, The Hours, The Reader), lo sceneggiatore di Forrest Gump, che si è basato su un romanzo di Jonathan Safran Foer, l’autore di Ogni cosa è illuminata, e un cast di grandi attori (Tom Hanks, Sandra Bullock, Max Von Sydow, senza dimenticare il protagonista, il bravissimo Tom Horn) danno vita a un’opera, che, pur non esente da difetti, riesce a commuovere e avvincere gli spettatori. È la storia di Oskar, un bambino pieno di fobie e di manie, lievemente autistico, probabilmente portatore della Sindrome di Asperger, ma con un fortissimo legame con il padre, che riesce a stimolarne la mente e, coinvolgendolo in continue cacce al tesoro, fra le quali spicca la ricerca di un fantomatico sesto distretto di New York, a dare un senso a un mondo che Oskar «misura in parametri matematici e statistici ma che fatica a comprendere intuitivamente». Ma il padre muore nel crollo di una delle Torri Gemelle e Oskar convive a fatica col trauma, che chiama “il giorno più brutto”. Quando giorno trova tra gli effetti del padre una busta con una chiave e un nome, Black, pensa che questo nome possa svelargli un ultimo messaggio del defunto: così si mette scientificamente alla ricerca di tutte le oltre quattrocento persone che portano quel cognome a New York, in una sorta di pellegrinaggio per cercare di rimanere in contatto con quel padre, che non vuole abbandonare, per sapere da loro se lo conoscessero e cosa la chiave possa aprire, accompagnato, per un certo periodo, anche un uomo anziano noto solo come “l’inquilino”, perché abita in una stanza della casa della nonna di Oskar…
La sceneggiatura di Eric Roth, molto fedele al romanzo, opera una selezione che fa coincidere l'intero film con il suo giovane protagonista, affidando la tragedia dell’11 settembre al suo «sguardo sperduto, adulto, dolente e inquietante nella sua genuinità» e finendo per confondere la ricchezza e l'originalità del racconto con la performance attoriale di Thomas Horn, gli adulti si rivolgono spesso al protagonista con una vena di fastidiosa retorica, l’immagine di New York è immersa in un’atmosfera favolistica e ben poco realistica, come forse sarebbe stato necessario, eppure il film riesce a emozionare e a regalare al cuore dello spettatore parecchie scene «vibranti nella loro asciuttezza, molto forti, e incredibilmente vicine al nostro sentire» (che gli sono valse due nomination agli Oscar), in un’efficace altalena di emozioni, dove si alternano immagini di dolore e i divertenti momenti delle avventure di Oskar in giro per New York.

-The Iron Lady di Phyllida Lloyd, sceneggiatura di Abi Morgan, con Meryl Streep, Jim Broadbent, Olivia Colman,Roger Allam, Susan Brown ecc.
Il film diretto da Phyllida Lloyd, regista del musical "Mamma mia!", affronta la difficile sfida di raccontare un personaggio a noi ancora molto vicino, che è stato determinante nella politica contemporanea e che è ancora vivente, anche se da tempo ritirato a vita privata: Margaret Tatcher, una donna che ha rivoluzionato la politica negli anni '80, probabilmente il premier inglese più odiato del '900, ma rieletta per ben tre volte. La sfida può dirsi parzialmente vinta, al di là dei meriti del film, grazie alla superba interpretazione di Meryl Streep, che «pur essendo americana, non solo padroneggia perfettamente toni e inflessioni di una donna inglese, ma “entra” sorprendentemente nella parte, con una trasformazione somatica impressionante», senza dimenticare un grande Jim Broadbent, nella parte del marito Denis, e Alexandra Roach, in quella della Tatcher da giovane, che offre una «performance carismatica, credibile e perfettamente in linea con quella della Streep». Il film segue l'ascesa della protagonista dalla frequentazione dei comizi del padre sindaco fino al vertice del potere, ma non sempre riesce a essere efficace e coinvolgente, finendo per approfondire prevalentemente la parte più intima della Tatcher, allo scopo di darne un ritratto meno convenzionale, indagando i sottili meccanismi emotivi dell'ex statista, ormai giunta alla fine della sua vita, ma mettendo troppo in secondo piano la parte pubblica.

- La chiave di Sara di Gilles Pacquet-Brenner, sceneggiatura di G. Pacquet-Brenner e Serge Joncour, con Kristin Scott Thomas, Mélusine Mayance, Niels Arestrup, Frédéric Pierrot, Michel Duchaussoy ecc. 
Il film affronta un episodio della Shoah, già rievocato dal recente "Vento di Primavera" di Rose Bosch: la retata di massa, ad opera dei collaborazionisti francesi, che nel luglio del 1940 raccolse più di tredicimila ebrei parigini al Velodromo d’Inverno per poi traferirli nei campi di sterminio. "La chiave di Sara", trasposizione del romanzo di Tatiana de Rosnay, ne offre una lettura parzialmente differente, che parte dal presente. Racconta, infatti, di Julia, ben interpretata da Kristin Scott-Thomas, una giornalista americana moglie di un architetto parigino che, preparando un articolo di approfondimento sulla vicenda, scopre i segreti legami con il drammatico destino di una bambina, Sara Straszinski, che al momento del rastrellamento chiuse a chiave in un armadio a muro il fratello più piccolo, sperando di riuscire poi a liberarlo, avendo conservato la chiave. Il film risulta più efficace nella parte “storica”, mentre appare più debole e meno convincente in quella contemporanea, «con personaggi forzati e poco incidenti nella narrazione».

- La talpa di Tomas Alfredson, sceneggiatura di Bridget O'Connor e  Peter Straughan, con Gary Oldman, Kathy Burke, Colin Firth, Tom Hardy, Ciarán Hinds, John Hurt, Toby Jones ecc. .
Tratto dal capolavoro di John LeCarré, "Tinker, Tailor, Soldier, Spy", uno dei migliori romanzi di spionaggio del '900, il film di Tomas Alfredson è la seconda trasposizione del libro dopo il leggendario sceneggiato messo in onda circa trent'anni fa dalla BBC, con Alec Guinness nel ruolo di Smiley. La vicenda prende spunto dal doppio gioco di tre dei migliori uomini dei servizi segreti britannici, che erano passati all'URSS e che solo dopo parecchi anni vennero scoperti: storia ben nota a John Le Carré, che, prima di diventare il massimo esponente della spy story, è stato dipendente del MI6 e ha effettivamente visto la sua carriera interrompersi a causa di un agente doppiogiochista al soldo del KGB. "La talpa" è un film con un cast strepitoso, visivamente impeccabile, elegante ed emozionante, in cui sembra allo spettatore di respirare l'atmosfera di una Londra grigia e sporca, che ben corrisponde a un'immagine dello spionaggio molto meno romantica e avventurosa di quella che ci siamo fatti guardando i film di James Bond. Forzatamente compresso nei tempi, sia rispetto al libro che allo sceneggiato, il film richiede un certo sforzo di attenzione, per non perdere il filo degli avvenimenti e dei numerosi flashback, ma riesce comunque a coinvolgere completamente lo spettatore che segue con commossa partecipazione l'indagine di Smiley volta a scoprire l’identità di una talpa filosovietica, che agisce da anni all’interno del ristretto numero degli agenti del Circus, quattro uomini che Control, il suo ex capo, aveva soprannominato lo Stagnaio, il Sarto, il Soldato e il Povero.
(http://www.tinker-tailor-soldier-spy.com/)

-J. Edgar di Clint Eastwood, sceneggiatura di Dustin Lance Black, con Leonardo DiCaprio, Naomi Watts, Armie Hammer, Josh Lucas, Judi Dench ecc.
Dopo il capolavoro "Gran Torino" Clint Eastwood dirige un biopic sulla vita di un'icona dell'immaginario americano, quella di John Edgar Hoover, creatore dell'F.B.I. e suo direttore per un lunghissimo periodo della storia USA, avendo servito ben otto presidenti. Il film non è al livello del precedente, è probabilmente troppo lungo, il ritmo è spesso eccessivamente lento, la sceneggiatura non è sempre equilibrata, con la voce guida del protagonista che appesantisce la narrazione, i registri oscillano fra il melodrammatico e il didascalico. A suo favore il film ha un cast straordinario, con un Leonardo di Caprio che forse questa volta arriverà all'Oscar che gli è sempre sfuggito, la fotografia splendida, evocativa della grande stagione del noir americano, la ricchezza di rimandi cha appassioneranno ogni cinefilo, da "The Aviator" di Scorsese a "L'Uomo che uccise Liberty Valance" di Ford fino a "Nemico pubblico" di Wellman. Così il film colloca la controversa figura di Hoover fra leggenda e storia, ne mette in luce ambiguità e contraddizioni, private e pubbliche, filtrandole attraverso la voce fuori campo del protagonista che detta la propria biografia ufficiale rievocando la storia della sua vita, commentandola, amplificandone o travisandone, più o meno volutamente, alcuni aspetti: la rivoluzione investigativa, la progressiva affermazione dell'FBI come la più importante e potente agenzia imvestigativa, la ‘deportazione' dei comunisti, la cattura di gangster come John Dillinger e George Kelly, le indagini lecite sui rapitori di Baby Lindbergh, il figlioletto del primo trasvolatore dell'Atlantico, e quelle illecite sulle Pantere Nere o sul Movimento per i Diritti Civili di Martin Luther King.
(http://jedgarmovie.warnerbros.com/index.html)
(http://www.warnerbros.it/hoover/index.html)

- Sherlock Holmes – Gioco di ombre di Guy Ritchie, sceneggiatura di Michele and Kieran Mulroney, con Robert Downey Jr., Jude Law, Noomi Rapace, Stephen Fry, Jared Harris, Kelly Reilly Rachel McAdams ecc.
Non capita spesso che un sequel sia pari o addirittura superiore al primo film di una serie più o meno lunga: eppure il secondo "Sherlock Holmes" di Guy Ritchie, adattamento cinematografico non di un testo di Conan Doyle, ma di una "graphic novel" moderna, raggiunge questo risultato. Naturalmente personaggi e talvolta situazioni sono ripresi dalla narrativa ottocentesca, ma per il resto l'investigatore di Ritchie è lontanissimo dal compassato detective ottocentesco. La trama è ben costruita, studiata nei minimi particolari, con la giusta carica di ironia e anche di comicità, l'ottima sceneggiatura consente un perfetto equilibrio fra action movie e comedy, il cast è sicuramente brillante, con la coppia Downey Jr. - Law praticamente perfetta, l'ambientazione storica e la varietà di ambienti suggestivi, dal camerino della cartomante al castello vampiresco sull'orlo del precipizio, particolarmente azzeccata. Notevole anche l'apporto dei comprimari: il fratello di Sherlock, Mycroft, ironico e sarcastico, interpretato da Stephen Fry, new entry nella vicenda, Noomi Rapace nei panni della zingara Madam Simza Heron, che coadiuva Holmes e Wartson nell'indagine, decisamente più misurata che nella trilogia tratta dai romanzi di Stig Larsson, e, soprattutto, il professor Moriarty, reso benissimo nella sua totale malvagità da Jared Harris. Se, come già nel primo film, poco rimane dell'originale figura di Sherlock Holmes, figura compassata, molto "british" e un po' malinconica, tuttavia agli spettatori sono garantite due ore di scoppiettante divertimento mentre accompagnano Holmes e Watson nella loro corsa contro il tempo per evitare il conflitto fra Germania e Francia, che Moriarty cerca di scatenare con una serie di attentati che mirano a destabilizzare l’Europa.
(http://www.warnerbros.it/sherlockholmes2/)

- Anonymous di Roland Emmerich, sceneggiatura di Christopher Hampton, con Edward Hogg, Vanessa Redgrave, David Thewlis, Rhys Ifans, Joely Richardson ecc.
Classica storia in costume che mette in scena una delle molte tesi sull'identità di William Shakespeare, uno degli autori più saccheggiati nella storia del cinema, il film di Roland Emmerich, regista di opere magari non indimenticabili, ma altamente spettacolari come " Independence Day" e "Godzilla", risulta una discreta pellicola di intrattenimento, che, dopo un prologo in cui un anziano su un palco teatrale si chiede chi sia stato veramente il celebre bardo, racconta come, essendo nell'Inghilterra cinquecentesca di Elisabetta I disdicevole scrivere per il teatro, il XVII Conte di Oxford, Edward De Vere, decida di pagare un attore per assumere lo pseudonimo da lui inventato di Shakespeare e mettere in scena le sue opere spacciandole per proprie, così che possano finalmente essere rappresentate. Il successo è clamoroso, ma il film vira ben presto verso l'intrigo, politico e letterario, poiché qualcuno minaccia di svelare il legame fra De Vere e la regina, c'è un complotto per portare sul trono Giacomo VI di Scozia, e uno spiantato, ignorante nonché antipatico attore di teatro, un certo “William Shakespeare”, per una serie di casi fortuiti, riesce furbescamente a farsi attribuire le opere scritte dal Conte di Oxford. Il film è soprattutto un melodramma a forti tinte, con colpi di scena, peripezie, amori travolgenti, invidie e interessi personali, riconoscimenti dolorosi e un po' di sesso, che lo spettatore segue talvolta un po' a fatica a causa del continuo ricorso a flashback ed ellissi temporali, ma che trova i suoi punti di forza nella scenografia (apprezzabile la realistica ricostruzione del “The Wooden O”, mitico teatro, frequentatissimo dai londinesi di ogni estrazione sociale), nei costumi, nella fotografia, nelle riprese sia delle scene d’interni sia di una Londra livida e spettrale, ma sopratutto nella caratterizzazione dei personaggi e nella prova attoriale dei due protagonisti, Rhys Ifans nei panni del conte di Oxford e una splendida e sempiterna Vanessa Redgrave, affiancati da ottimi caratteristi fra cui David Thewlis, nel ruolo dell'intrigante William Cecil, e Joely Richardson, Elisabetta da giovane, nella realtà figlia di Vanessa Redgrave.
(http://anonymous-movie.com/ )

- The Twilight Saga: Breaking Dawn – Parte primadi Bill Condon, sceneggiatura di Melissa Rosenberg, con Kristen Stewart, Robert Pattinson, Taylor Lautner, Ashley Greene, Peter Facinelli, Billy Burke ecc..
Per una saga che finisce, quella di Harry Potter, un'altra che si avvia alla conclusione: "Breaking dawn" è la prima parte della riduzione cinematografica dell'ultimo capitolo della "Twilight Saga" di Bella e Edward. Massacrato da gran parte della critica, il film non guadagna certo dalla divisione in due del corposo romanzo della Meyer: vista la sua non eccesiva lunghezza (117 minuti) il regista avrebbe potuto tranquillamente optare per un unico film di tre ore o poco più, ma naturalmente gli incassi si sarebbero dimezzati. Così lo spettatore è costretto a sopportare una metà del film piuttosto noiosetta, che ben poco ha dell'horror e punta invece su un romaticismo adolescenziale che toglie ogni tensione al racconto. Il film comincia a decollare dal momento in cui si scopre che Bella è incinta e che è disposta a rischiare la sua stessa vita pur di portare a termine la gravidanza, in questo aiutata da una delle vampire della famiglia Cullen, Rosalie, che della sua condizione soffre soprattutto l'impossibilità di essere madre. Naturalmente il film non rinuncia al motivo del triangolo fra Bella, Edward e Jacob (ma nel romanzo quest'aspetto emergeva con maggiore efficacia, in quanto il secondo libro era scritto dal punto di vista del licantropo), accentua nell'ultima parte la propensione all'horror movie, fino ad allora troppo contenuta, soprattutto nelle crude scene della gravidanza della protagonista, minacciata di morte dall'interno del proprio corpo, quasi spolpata dalla vita che porta in grembo, ma nel complesso non va al di là della sufficienza, più per merito della storia, che conserva il suo fascino, che delle qualità intrinseche del prodotto.
(http://www.breakingdawn-themovie.com/)

- Harry Potter e i doni della morte – parte II di David Yates, sceneggiatura di Steve Kloves, con Emma Watson, Daniel Radcliffe, Rupert Grint, Michael Gambon, Maggie Smith, Helena Bonham Carter, Bonnie Wright, Alan Rickman, Ralph Fiennes, Jon Hurt, Gary Oldman ecc.
Giunge all'epilogo la saga di Harry Potter con l'ultimo film, ancora a firma David Yates, che è forse uno dei migliori degli otto tratti dai romanzi di J. K. Rowlings. L'ultimo capitolo si apre dove la pellicola precedente si interrompeva, con l'apparente trionfo di Lord Voldemort che si è impossessato della potentissima bacchetta di sambuco, già appartenuta ad Albus Silente, e ha "occupato" Hogwarts trasformandolo in una sorta di incubo, frutto del progetto di purificazione razziale di Voldemort, drammaticamente affine all’ideologia razzista hitleriana: particolarmente suggestive le inquadrature degli studenti di Hogwarts, silenziosi, irreggimentati e sorvegliati dai dissennatori che si librano sopra il cortile della scuola. La parte seconda dei "Doni della morte" fa naturalmente largo uso di effetti speciali, trucchi ecc., cita abbondantemente alcuni classici, come "Indiana Jones", nella lunga discesa dei protagonisti nei sotterranei della Banca Gringott, o "Il Signore degli Anelli", nella battaglia finale, quando i seguaci di Voldemort assediano Hogwarts, ma trova in realtà il suo clou, forse più che nel duello finale, nel lungo flash back che rivela allo spettatore la vera storia di Severus Piton (un grandissimo Alan Rickman). Intelligentemente regista e sceneggiatore, pur nell'inevitabile necessità di sintesi, riescono a dare spazio anche ai personaggi minori della saga, per esempio a Neville Paciock, che nella lotta finale contro il Signore Oscuro diventa forse il vero "eroe", contribuendo, al di là di magie e incantesimi, a umanizzare la vicenda e a inserire i protagonisti in una dimensione più familiare e quotidiana, che diviene dominante nel secondo finale della storia, quando, proiettandosi in avanti nel tempo, il film fa intravedere un futuro pacifico e familiare per tutti i personaggi della saga sopravvissuti alla lotta contro il Male.
(http://harrypotter.warnerbros.it/hp7b/dvd/)

-I tre moschettieri di Paul W. S. Anderson, sceneggiatura di Andrew Davies e Alex Litvak, con Logan Lerman, Milla Jovovich, Luke Evans, Ray Stevenson, Matthew MacFadyen, Orlando Bloom, Christoph Waltz ecc.
Ennesima trasposizione del celebre romanzo di Alexandre Dumas, questa volta ad opera di Paul W. S. Anderson, esperto adattatore di videogiochi e regista di film non proprio memorabili come "Resident evil" e "Alien vs. Predator": secondo uno dei protagonisti, Logan Lerman (D'Artagnan), appena 22 anni, ma con una carriera di tutto rispetto alle spalle, dall'esordio in "The Patriot" di Mel Gibson a "Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo", «questa è una versione più contemporanea, mai raccontata, in cui i Moschettieri sono esperti di armi. Sono descritti come dei James Bond della loro epoca»! Infatti, nonostante si svolga nel canonico XVII secolo, la trama del film punta molto sulla spy story: infatti, Porthos, Athos e Aramis rubano alcuni disegni segreti da un deposito di massima sicurezza, ma vengono ingannati dalla loro complice Milady, che rivende i progetti al duca di Buckingham. I tre decidono allora di appendere le spade al chiodo, ma tre anni dopo incontrano il giovane D’Artagnan, che è arrivato a Parigi con il sogno di diventare moschettiere. Insieme si rimettono in pista per sventare il complotto che minaccia la la monarchia francese, ma anche il futuro dell'Europa: il perfido cardinale Richelieu, interpretato da Christoph Waltz, ormai quasi specializzato nei ruoli da "cattivo", vuole impadronirsi, con l’aiuto di Milady, del trono, facendo credere a re Luigi XIII che la moglie Anna ha una relazione con il duca di Buckingham... Naturalemente in 3D, il film è soprattutto un susseguirsi di scene mozzafiato, con tanta azione, avventura e romanticismo, come e anche più del romanzo di Dumas.
(http://www.threemusketeers-movie.com/)

- Carnage di Roman Polanski, sceneggiatura di R. Polanski e Yasmina Reza, con Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz, John C. Reilly ecc.
Tratto dalla pièce teatrale "Il dio della carneficina" di Yasmina Reza, che ha collaborato con Polanski alla stesura della sceneggiatura, il film (mirabilmente interpretato da Christoph Waltz, Kate Winslet, Jodie Foster, John C. Reilly) racconta di due coppie, i Cowan e i Longstreet, che in un appartamento di Brooklyn provano a risolvere il violento alterco che ha coinvolto i loro figli adolescenti. Il rapporto fra le due coppie, appartenenti a classi sociali diverse, si pone all'inizio su un piano molto formale di reciproca gentilezza, ma quando la nausea della signora Cowan viene rigettata sui preziosi libri d'arte della signora Longstreet, le rispettive nature travolgono ogni freno, maschere e buone maniere svaniscono e s'innesca una feroce carneficina dialettica. Apparentemente il film «sembra un atto di accusa verso la famiglia, dal momento che le due coppie di genitori hanno un concetto di educazione che non può che produrre danni». In realtà l’obiettivo polemico di Polanski è il modo di vivere “borghese”, ma anche l'ipocrisia del "politicamente corretto". D'altra parte il film a un certo punto non focalizza più solo una coppia contro l’altra, ma, al di là degli schemi, i due uomini si scagliano contro le due donne, e poi esplode una vera e propria lotta di tutti contro tutti! Affiora così una «concezione della vita angusta, secondo cui ci si illude che basti l’impegno per risolvere i problemi, educare i figli, comportarsi bene con il prossimo, addirittura salvare il mondo». E se non ci si riesce, è la realtà ad essere cattiva e deludente, è il prossimo, marito, moglie o figli, a tarparci le ali… Anche se il finale, diverso da quello del testo teatrale, rivela che «la realtà è più grande, e più bella, di quanto quei quattro immaginano»…(http://it.cinema.yahoo.com/carnage/ )
(http://www.sonyclassics.com/carnage/)

- A dangerous method di David Cronenberg, sceneggiatura di Christopher Hampton, con Michael Fassbender, Keira Knightley, Viggo Mortensen, Vincent Cassel ecc.
Il film di David Cronenberg porta sullo schermo una pièce teatrale (già trasposta per il cinema da Roberto Faenza con "Prendimi l’anima") che racconta la storia di Sabine Spielrein e della sua influenza sui padri della psicoanalisi, Sigmund Freud e Carl Gustav Jung. La protagonista è una paziente ebrea russa che nel 1904 viene portata a Jung per essere curata da un' "isteria" che le impedisce perfino di parlare, mentre violenti spasmi le contorcono il volto, il collo, la testa. Jung comprende che le manifestazioni fisiche derivano da un disagio profondo e vuole usarla per provare la terapia di conversazione inventata da Freud. Jung viene sempre più coinvolto nel rapporto con Sabine, la cui terapia fa evidenti progressi, e la asseconda nel suo desiderio di diventare una psicoanalista. Nello stesso tempo Jung entra anche in una situazione sempre più compromettente cercando di razionalizzare il suo allontanamento dalla moglie e dai figli (pur continuando ipocritamente a vivere in famiglia), mentre mantiene una relazione sadomasochistica con la sua paziente, che è nel frattempo divenuta la sua amante...
Il film è caratterizzato da una eccezionale attenzione ai particolari: ambientazioni, paesaggi, musiche, e risulta essere una grande lezione di storia, che esplora efficacemente i conflitti personali tra Jung e Freud e rende omaggio alla donna che col suo carattere e temperamento ha permesso agli studi di Freud un avanzamento impensabile, al punto che lo psicanalista viennese le affidò anche la cura di alcuni dei propri pazienti. Il lavoro di Cronenberg è sorretto da un ottimo cast di attori, anche se le caratterizzazioni dei due protagonisti maschili sono a volte eccessivamente marcate, con qualche rischio di banalizzazione (in particolare per il personaggio di Jung)
(http://www.sonyclassics.com/adangerousmethod/)

- The Conspirator di Robert Redford, sceneggiatura di James D. Solomon, con James McAvoy, Robin Wright Penn, Kevin Kline, Evan Rachel Wood, Justin Long ecc.
L'ultimo film di Robert Redford si colloca su quella linea di impegno di civile che è sempre stata la cifra del lavoro registico del grande attore americano. Il protagonista, Frederick Aiken, è un ufficiale dell'esercito nordista, sopravvissuto alla Guerra Civile, che, tornato alla sua professione di avvocato, deve difendere davanti a un tribunale militare Mary Surratt, accusata di complicità nell'assassinio del presidente Lincoln. Vedova di un "sudista", cattolica in un'America ancora prevalentemente protestante, la donna è proprietaria di una pensione, supposto luogo della cospirazione, e madre di John Surratt, amico e frequentatore di uno dei sette uomini coinvolti nel delitto. Mary si dichiara innocente e riesce a convincerne l'inizialmente scettico avvocato, che nella ricerca della verità finirà per inimicarsi tutti i suoi commilitoni, amici e conoscenti, nonché la sua fidanzata. A questi temi storici il film ne aggiunge uno, volutamente di attualità, negli Stati Uniti del post 11 settembre: Mary Surratt e i coimputati vennero processati non in un processo civile, ma da un tribunale militare, i cui poteri erano quelli, pressoché illimitati, dello stato di guerra. Redford appare propenso a credere che il verdetto di colpevolezza fosse già stato scritto, a prescindere dagli argomenti addotti dalla difesa. Per questo le domande di fondo del film vertono sul rispetto o la violazione della Costituzione e dello Stato di diritto, e il regista si chiede che cosa possa impedire che altre situazioni di emergenza portino a sospendere le libertà di cittadini, magari innocenti, se il governo di uno Stato che si è sempre proclamato esempio di democrazia e libertà, ha trattato in questo modo la povera Mary Surratt.
(http://www.conspiratorthemovie.com/)

- Il discorso del re di Tom Hooper, sceneggiatura di David Seidler, con Colin Firth, Geoffrey Rush, Helena Bonham Carter, Guy Pearce, Jennifer Ehle ecc.
Quattro premi Oscar (miglior film, miglior regista, miglior attore protagonista, migliore sceneggiatura originale) per un film girato da un regista, fino a oggi più noto per il suo eccellente lavoro televisivo. "Il discorso del Re" ci racconta la vera storia di Alberto di Windsor, Duca di York, che dovette affrontare una corona non voluta (dopo la rinuncia del fratello Edoardo VIII che abdicò per sposare la divorziata americana Wallis Simpson), la Seconda guerra mondiale e, last but not least, una terribile balbuzie in un momento eccezionale, quando il re doveva rivolgersi ai sudditi di tutto l’Impero Britannico per animare la volontà di resistere al nazismo dilagante. Allora la radio era il principale mezzo di comunicazione di massa e da essa doveva parlare il sovrano con voce forte e sicura, che infondesse coraggio in quei tragici momenti, ma che mancava al giovane Alberto. Il rapporto tra il futuro Giorgio VI e il logopedista australiano Lionel Logue è quindi posto al centro della storia: l'incontro, ma talvolta anche lo scontro, fra due uomini, che non solo hanno ruoli diversi, ma sono anche profondamente differenti nel rapportarsi fra loro: uno è il futuro re, con tutto ciò che questo comporta (non dimentichiamo che siamo alla fine degli anni '30), l'altro è un ex attore australiano, insensibile alle formalità, abituato a dare e farsi dare del tu! Grazie all'appassionato lavoro del logopedista e all'affetto della moglie (colei che passerà alla storia come la Regina Madre), il giovane re riuscirà a superare le sue paralisi e a pronunciare il discorso più bello, quello che ispirerà l'Inghilterra nella sua lotta contro il totalitarismo nazista. Il regista si concentra sul vissuto interno del protagonista, rivelando le conseguenze emotive del disagio nel parlato ai tempi della radio e in assenza delle immagini, senza trascurare però il drammatico contesto politico, realizzando un film avvincente, accurato nella ricostruzione storica, come forse solo gli inglesi sanno fare, interpretato magistralmente da un manipolo di grandi attori, fra cui il premio Oscar Colin Firth e un'eccellente Helena Bonham Carter: da vedere, se possibile, in lingua originale!
(http://www.kingsspeech.com/)

- Non lasciarmi di Mark Romanek, sceneggiatura di Alex Garland con Carey Mulligan, Andrew Garfield, Charlie Rowe, Ella Purnell ecc.
Mark Romanek, regista dell'interessante "One Hour Photo", con un insolito e ottimo Robin Williams nelle parte di un pericoloso psicopatico, dirige un film tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore giapponese (in realtà molto "british") Kozuo Ishiguro, già autore di "Quel che resta del giorno", da cui James Ivory ha tratto un'ancor più intrigante pellicola con Anthony Hopkins, Emma Thompson e Christopher Reeve. Si tratta in realtà di un film di fantascienza, senza quegli effetti speciali che sono un po' diventati il marchio di fabbrica del genere, ma sorretto dalla notevole interpretazione di Keira Knightley, Andrew Garfield e Carey Mulligan, da una splendida fotografia, che coglie magistralmente i colori autunnali della campagna inglese, e, sopratutto, dalla sua capacità di porsi le domande fondamentali dell'esistere umano: quelle sul destino e sul senso del nostro cammino nel mondo, ma anche sull'omologazione, la libertà individuale, «la pressione di un potere che vorrebbe livellare il pensiero», sulla scienza, sul senso dell'amore, dell'amicizia e dell'arte. Con un prologo, collocato nell'infanzia trascorsa fra le mura del collegio di Hailsham, gestito da Charlotte Rampling, direttrice materna e severa nei confronti di bambini senza padre e madre , cloni destinati a diventare donatori di organi, la storia, narrata con apparente freddezza, segue le vicende di tre di loro, che cercano di farsi compagnia nell'affrontare un destino di dolore, che appare prestabilito sin dai primi momenti della loro vita, sperando che amore e amicizia siano sentimenti che durino per sempre, magari grazie a una concessione del Potere, che permetta di avere qualche anno in più, prima dell'inevitabile distacco.
(http://www.foxsearchlight.com/neverletmego/)
(http://microsites2.foxinternational.com/it/nonlasciarmi/)

- Noi credevamo di Mario Martone, sceneggiatura di M. Martone e Giancarlo De Cataldo, con Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco, Francesca Inaudi, Toni Servillo, Andrea Bosca, Edoardo Natoli, Luca Barbareschi, Luca Zingaretti ecc.
Noi credevamo di Mario Martone, presentato alla 67^ Mostra di Venezia, è film in quattro episodi che hanno per protagonisti tre ragazzi del sud (Domenico, Angelo e Salvatore), affiliati alla Giovane Italia di Mazzini. La loro storia ripercorre alcune vicende, anche minori, del processo che ha portato all'Unità d'Italia: i falliti attentati a Carlo Alberto e a Napoleone, la rivolta del Cilento nel 1828 guidata dai fratelli Capozzoli, l'episodio dello scontro fra regolari e garibaldini sull'Aspromonte, fino all'arrivo al governo di Francesco Crispi. Il film, molto lungo, con l'andamento tipico degli sceneggiati televisivi di un tempo, risulta abbastanza accurato nella ricostruzione storica, ma anche piuttosto freddo, quasi didattico, soprattutto nella prima parte, in cui i dialoghi sono sovrabbondanti, e talvolta viziato da una lettura ideologica del passato, con una sorta di rovesciamento delle tesi leghiste e una discutibile contrapposizione, fra un Risorgimento repubblicano e democratico e uno monarchico e reazionario.

- The Twilight Saga- Eclipse di David Slade, sceneggiatura di Melissa Rosenberg (dal romanzo di Stephanie Meyer), con Kristen Stewart, Robert Pattinson, Taylor Lautner ecc.
Tratto dall’omonimo romanzo di Stephenie Meyer, terzo capitolo della saga di Twilight, il film conclude la storia della “lotta” fra la vampira Victoria, che vuole vendicare su Bella la morte del suo compagno James e per realizzare il suo scopo crea un esercito di vampiri “neonati”, e i Cullen. Questo capitolo della tetralogia risulta sicuramente più interessante del precedente, d'altra parte tratto da New Moon, il libro più debole della serie, troppo lungo e verboso, più compatto, e nello stesso tempo più articolato nel delineare i personaggi secondari, come Rosalyn e Jasper, con un ritmo che non conosce quasi mai pause. Anche la figura di Bella appare meglio delineata, viene approfondito il senso di straniamento di Bella dai suoi coetanei, con i quali non si confida neanche più, suscitando la preoccupazione paterna, che la esorta a coltivare le relazioni con altri coetanei. Intanto la ragazza decide di accettare la proposta di matrimonio di Edward, che è la condizione preliminare alla successiva “trasformazione”, scegliendo definitivamente non solo fra Edward e Jacob, ma anche, forse, fra un amore edonistico, quello per il “palestrato” Jacob, e un sentimento più profondo, basato su valori meno effimeri di quelli della società consumistica, più “tradizionali”, che né l'uomo lupo, né suo padre divorziato possono comprendere.
http://www.eclipsethemovie.com/



- The Road di John Hillcoat, sceneggiatura di Joe Penhall (dal romanzo di Cormac McCarthy), con Viggo Mortensen, Kodi Smit McPhee, Charlize Theron, Guy Pearce, Robert Duvall ecc.
Tratto da uno dei libri più belli degli ultimi anni, il film, cupo, duro, molto fedele al romanzo di McCarthy, quasi insostenibile per il suo spietato realismo, racconta di un padre e di un figlio che, in un mondo devastato da una guerra o un'apocalisse nucleare, dove gli uomini non sognano più e si nutrono di uomini e crudeltà, resistono agli sconvolgimenti della natura e agli assalti dei loro simili, spesso regrediti a un livello bestiale, con due colpi in canna e il fuoco dell'amore. Lungo la strada il ragazzo esplorerà la propria umanità, imparando la conoscenza del bene e del male. E conservando, grazie al padre, a propria dignità e umanità. Sorretto da una grande interpretazione dei due protagonisti, il film delinea con grande intensità il “rapporto tra un padre che nonostante il dolore cerca di comunicare al figlio il Bene in condizioni devastanti, e un figlio che lo segue anche quando lo vede cedere sotto il peso delle inevitabili contraddizioni, perdonandolo e amandolo”: è il passaggio dall'infanzia a una maturità precoce di un bambino che nell'epilogo si trasforma da oggetto passivo di "cure" a soggetto emancipato e civilizzato in un una realtà di puro orrore in cui ogni sconosciuto può farti a pezzi e mangiarti, ma nella quale è sempre possibile la speranza.
http://www.theroad-movie.com/



- Bright Star di Jane Campion,sceneggiatura di J. Campion, con Ben Whishaw, Abbie Cornish, Paul Schneider, Thomas Sangster ecc.
Il film della Campion, una regista che privilegia l'esplorazione dell'universo femminile, racconta l’amore tra lo sfortunato e in vita misconosciuto poeta romantico John Keats e la sua vicina di casa Fanny, anche lei artista in uno dei pochi campi, quello della moda, cui alle donne fosse allora concesso esprimere il proprio estro e il proprio desiderio di bellezza. L’amore per la bellezza è proprio ciò che unisce i cuori dei protagonisti, pur differenti per carattere e formazione: Fanny viene definita una specialista del flirt e ammette di non capire nulla di poesia, mentre John pare inizialmente bloccato dal proprio sentirsi fallito come poeta e improponibile, per le sue misere condizioni economiche, come partito. Il ruolo dell'antagonista è affidato all’amico e confidente di Keats, Mr.Brown, anche lui poeta, in vero mediocre – che lo vorrebbe al riparo dall'influenza femminile, protetto dai classici, ma che perde la partita mettendo incinta la cameriera di casa, dopo averla corteggiata in un modo che “sembra la parodia del delicato avvicinamento dei protagonisti”.
Eccezionali la messa in scena, la fotografia, l'attenzione della regista ai più nei piccoli dettagli, che ci permettono di “cogliere nello stesso momento poesia e squallore, il calore e la bellezza di alcuni momenti, l’eleganza di un’epoca fatta di balli, canti domestici e discussioni di poesia, ma anche di case fredde, spifferi assassini, malattie fatali e scarsa igiene personale”. Lo scorrere delle stagioni, così strettamente legato alla vita e alla morte dell’amore, è seguito con appassionata attenzione ai giochi di colore, alle inquadrature e agli effetti, che rendono lo stretto legame tra vita e arte talmente inerente alla trama e alla forma del film, da rinunciare in gran parte alla musica, praticamente sostituita dal ritmo delle parole stesse.
http://www.brightstarthemovie.co.uk/



- Robin Hood di Ridley Scott, sceneggiatura di Brian Helgeland, con Russell Crowe, Cate Blanchett, Matthew MacFadyen, Danny Huston, Max von Sydow ecc.
Dopo Il gladiatore Ridley Scott mette in scena un altro eroe guerriero e ne affida l'interpretazione al volto e alla fisicità di Russell Crowe. Meno epico del film precedente, Robin Hood, che vuole essere una sorta di prequel della storia dell'arciere di Sherwood, la pellicola non tralascia nulla di quanto ci si attende da un buon film di genere: spade sferraglianti, fendenti tremendi, lame nella carne, frecce di fuoco nel cielo, sangue a fiotti, corpi fatti a pezzi. La messa in scena è accurata, i costumi realistici, le scene d'effetto non mancano, dall'assedio iniziale all'eccitante carica di cavalleria conclusiva, per un grande spettacolo di due ore e mezza che passano velocemente, nonostante una sceneggiatura forse un po' troppo pretenziosa, che conferma Ridley Scott come un regista che trasforma in oro tutto ciò che gira... ma l'autore di Blade Runner era ben altro, così come Robin e Marian di Richard Lester (con un grandissimo Sean Connery e l'indimenticabile Audrey Hepburn) dava dei personaggi leggendari un ritratto molto più profondo e interessante. Il film di Scott è invece solo un kolossal, anche se nel complesso riuscito, che naturalmente paga il suo debito al politicamente corretto (come purtroppo il regista è solito fare), trattando il clero in modo ideologico e non risparmiandosi la consueta tirata pro islam.
http://www.robinhoodthemovie.com


- La regina dei castelli di carta di Daniel Alfredson, sceneggiatura di Jonas Frykberg e Ulf Ryberg (dal romanzo di Stig Larsson), con Michael Nyqvist, Noomi Rapace, Annika Hallin, Lena Endre ecc.
Trasposizione del terzo capitolo della saga-boom editoriale "Millennium" dello svedese Stieg Larsson, La regina dei castelli di carta riprende la storia dell'impavido giornalista Blomkvist e dell'hacker cyberpunk Lisbeth Salander da dove era stata lasciata nel precedente La ragazza che giocava col fuoco, e la conduce al suo scioglimento. Confermato il regista, Daniel Alfredson, e il cast protagonista, Noomi Rapace e Michael Nyqvist, l'epilogo, poco dinamico, verboso e prevedibile, è certamente il più debole dei tre film e replica lo schema della ragazza tormentata dal tutore maniaco e del giornalista minacciato dai cattivi di turno: in particolare, viene totalmente tralasciata, come già in gran parte avveniva nel secondo capitolo, la cornice storico-politica, che in Uomini che odiano le donne, diretto dal danese Niels Arden Oplev, denunciava “il retaggio dei traumi non pacificati della socialdemocrazia svedese” e che costituisce il valore aggiunto dei romanzi di Larsson.
http://www.lareginadeicastellidicarta-ilfilm.it

- Vento di primavera di Rose Bosch, sceneggiatura di R. Bosch, con Jean Reno, Mélanie Laurent, Gad Elmaleh, Raphaëlle Agogué, Hugo Leverdez ecc.
Il film rievoca un tragico evento della seconda guerra mondiale, che ebbe inizio il 17 luglio del 1942, quando, in modo assolutamente autonomo, i collaborazionisti del Maresciallo Pétain radunarono 25mila ebrei (tra cui 5000 bambini) nel Velodromo coperto di Parigi, in condizioni disumane, per poi deportarli in campi di transito nel sud della Francia e alla fine ad Auschwitz e Dachau. Alla fine della guerra ne tornarono 25, solo adulti.
È un episodio a lungo dimenticato dalla storiografia francese, riproposto con passione dalla regista Rose Bosch, che assume il punto di vista dei bambini di due famiglie parigine, che vivono nel quartiere di Montmartre, in particolare quello del decenne Joseph, che per la prima volta sono costretti a sentirsi differenti dai propri coetanei in quanto ebrei. La regista lavora su una tripartizione narrativa. Da un lato Hitler nella sua tana del Berghof, dall’altro Pétain, Laval e i collaborazionisti e, nel mezzo, le famiglie ebraiche colte in quella quotidianità all’interno della quale sono stati inoculati ad arte (anche grazie al media più diffuso all’epoca, la radio) i germi del disprezzo per il diverso. Così viene raccontata una storia che, basandosi sui ricordi dei sopravvissuti, mostra il meglio e il peggio dell’animo umano di quei tempi: ci sono coloro che gioiscono per la “pulizia etnica”, o addirittura spregevoli individui che approfittano della situazione per sfogare i loro istinti sadici, poliziotti avidi e corrotti; ma anche vicini di casa che cercano di salvare i figli delle famiglie ebraiche facendoli passare per propri, parroci che forniscono nuove identità; pompieri che, trasgredendo gli ordini ricevuti, cercano di alleviare le sofferenze dei prigionieri. Ottimamente interpretato da Mélanie Laurent e Jean Reno, nei ruoli di un'infermiera volontaria e di un medico ebreo prigioniero, attento e circostanziato alla fedeltà storica (tutti i fatti riportati nel film sono realmente accaduti, il velodromo è stato fedelmente ricostruito a Budapest), Vento di primavera (in francese La rafle, cioè “la razzia” in lingua originale) si inserisce con pieno merito nell'ampia e spesso notevole filmografia della Shoah, intrecciando efficacemente la grande e la piccola Storia di quei tragici anni.
(http://www.videa-cde.it/ventodiprimavera/)

- Uomini di Dio di Xavier Beauvois, sceneggiatura di Etienne Comar e Xavier Beauvois, con Lambert Wilson, Michael Lonsdale, Olivier Rabourdin, Philippe Laudenbach, Jacques Herlin ecc.
Vincitore del gran premio della Giuria al festival di Cannes 2010 il film di Xavier Bauvois, Des hommes et des dieux, ha conquistato prima la critica e poi il pubblico, per lo meno in Francia, dove gli avvenimenti raccontati dal film, dati gli storici legami fra il paese transalpino e l'Algeria, hanno avuto un forte impatto emotivo.
Al centro della vicenda la drammatica storia di un gruppo di monaci cistercensi francesi nell’Algeria degli anni '90, insanguinata dalla guerra tra i terroristi del Fronte Islamico di Salvezza e il regime militare. I sette monaci vivono nel convento di Thibirine in pacifica “simbiosi” con la popolazione musulmana dei dintorni, che vede nei monaci cattolici un punto di riferimento e di sicurezza e un aiuto concreto soprattutto per le cure mediche che frère Luc riesce ad assicurare a tutti, specialmente a donne e bambini. La strage di un gruppo di operai croati cristiani, in un cantiere nei dintorni, da parte dei rivoluzionari islamici e la successiva irruzione nel convento di un gruppo di terroristi islamici, fanno capire ai monaci che sono in pericolo, per cui nel gruppo di religiosi qualcuno non appare disposto ad aspettare un nuovo e forse più tragico attacco degli islamici. Alla fine tutti decideranno però di rimanere, sorretti dalla fede in Cristo e dalla loro amicizia, riuscendo così a confortare una popolazione misera e bisognosa del loro aiuto e ancor di più in preda alla paura. Finché, inevitabile, arriverà per sette di loro il momento del martirio, non è ancora ben chiaro, ma poco importa, se per opera dei terroristi che li avevano rapiti dell'esercito, intenzionato a far ricadere su di loro il sangue dei monaci.
Il regista ha realizzato un film dallo stile austero, aiutato da una sapiente sceneggiatura che ritma lo scorrere del tempo grazie al succedersi delle celebrazioni e delle preghiere e canti comunitari, alternando ad essi le vicende esterne e interne al luogo sacro e la presentazione di tutte le convinzioni, ma anche di tutte le incertezze e debolezze dei monaci, presentati nella loro integrale umanità, dove si fondono la naturale paura e l'amore incrollabile in Cristo e nel loro prossimo, anche dei terroristi, di cui non ci si augura il male (vengono curati anche loro, la morte del capo suscita compassione), ma di cui certo non viene taciuta la crudeltà, come si vede bene nella scena del massacro degli operai croati.
(http://www.luckyred.it/uominididio/)

- Harry Potter e i doni della morte - Parte I di Richard Yates, sceneggiatura di Steve Kloves,con Daniel Radcliffe, Emma Watson, Rupert Grint, Helena Bonham Carter, Bonnie Wright ecc.
Con questo film siamo all'ultimo capitolo della saga di Harry Potter, ma, a motivo della lunghezza e della complessità dell'ultimo romanzo (o forse anche per spremere ancora di più la classica gallina dalle uova d'oro), si è deciso di dividerlo in due parti.
I protagonisti della storia sono definitivamente usciti dall’infanzia si vede dalle loro facce: Ron si è ingrossato, Hermione è diventata una bella ragazza e Harry ha perso ogni traccia di fanciullezza, Hogwarts è momentaneamente sparito dall'orizzonte, essendo stato “conquistato” dai mangiamorte che hanno costretto i tre alla fuga (Hermione in a bellissima scena è addirittura costretta a far assorbire dalla sua bacchetta magica ogni ricordo della sua presenza dalla mente dei suoi genitori, a e a cancellare il suo volto dalle foto di famiglia, per salvaguardare l’incolumità dei suoi cari. fa assorbire dalla sua bacchetta magica ogni ricordo della sua presenza dalla mente dei suoi genitori, il suo volto scompare dalle foto di famiglia, ogni traccia di lei è cancellata, per salvaguardare l’incolumità dei suoi cari. Subito dopo iniziano gli scontri con i malvagi, tra le cose meglio realizzate del film, capaci di tenere il pubblico in tensione, per scoprire chi si salverà e chi invece si sacrificherà per Harry. Intanto il tarlo del dubbio si insinua anche tra di loro, perché Ron vede in ogni gesto dei suoi amici un legame affettivo che inevitabilmente lo taglia fuori ed è quasi spinto ad abbandonare la loro compagnia. In questo film la figura di Hermione assurge quasi al ruolo di protagonista, superando nettamente, quanto a prova attoriale, sia Harry che Ron, mentre sempre interessante è individuare i tanti attori di primo piano che fanno capolino nelle varie scene.
Il film, nonostante la presenza di moltissima macchina a mano del solito, appare caratterizzato da un ritmo più controllato, tutto silenzi espressivi e tempi dilatati, e vorrebbe affidare ai luoghi, non sempre riuscendoci, il compito di comunicare l'incertezza, i dubbi e le paure dei personaggi, colpendo lo sguardo dello spettatore, abituato, dopo sei film, a una scenografia ormai collaudata (le case di Harry e Ron, le aule di Hogwarts, la foresta che lo circonda, il ministero della magia) con laghi immensi, foreste innevate, autostrade in rovina e boschi d'inverno ripresi come luoghi tetri di un'anima inquieta. Un altro spunto interessante dei Doni della Morte è offerto dall'Horcrux (che contiene un frammento dell'anima di Voldemort e la cui storia, realizzata con un'animazione CG altamente stilizzata, e dotata di un fascino oscuro e misterioso, costituisce uno dei momenti più riusciti del film), il quale corrompe e incattivisce i tre amici come l'Anello del Potere di Tolkien corrompe tutti i suoi portatori.
(http://www.harrypotter.com e http://www.harrypotter.it)

- Le cronache di Narnia - Il viaggio del Veliero di Michael Apted, sceneggiatura di Christopher Markus, Stephen McFeely e Michael Petroni, con Ben Barnes, Skandar Keynes, Georgie Henley, Will Poulter, Laura Brent ecc.
Il terzo capitolo delle Cronache di Narnia di C. S. Lewis vede come protagonisti la piccola Lucy (la prima che aveva scoperto che cosa si celasse dietro l’armadio), il fratello Edmund e il cugino Eustace: infatti i due fratelli Pevensie, sfollati da Londra per timore dei bombardamenti tedeschi (siamo sempre durante la Seconda guerra mondiale) e separati dai fratelli maggiori, si trovano proprio a casa degli zii, dove il racconto delle loro imprese come sovrani di Narnia suscitano lo scherno e l’incredulità di Eustace, che però dovrà ricredersi quando da un quadro che rappresenta un veliero, inizia a uscire acqua a fiotti, che li sommerge tra i flutti del mare, vengono raccolti da un veliero con le insegne di Aslan. A bordo c'è il Principe Caspian, che in compagnia dell’avventuroso topo Ripicì, si è messo in viaggio per scoprire che fine abbiamo fatto sette nobiluomini che erano partiti da Narnia per esplorare il mare e arrivare alle terre di Aslan...
Anche in questo film è evidente l’intento allegorico – didattico di Lewis , che anche nel terzo episodio mette in scena il conflitto universale tra il Bene e il Male. Questa volta la dimensione del male cambia: esso non è più qualcosa di esterno al cuore dell'uomo, da sconfiggere con spade e incantesimi, ma una dimensione interiore, una ‘tentazione' da riconoscere dentro di noi e portare alla luce. L' isola delle tenebre che corrompe i giusti e cerca di gettare il mondo nell'oscurità non è altro che male puro, una sorta di vaso di Pandora dove affiorano paure e fragilità ataviche. Il vero nemico è innanzitutto in sé stessi, nelle remore e nel pregiudizio che impediscono di seguire il bene, nella persona degli amici e nella presenza invisibile ma reale di Aslan, che conosce il cuore di tutti, che è chiaramente immagine di Cristo, come appare dai diversi richiami evengelici da cui il film è segnato.
La pellicola è ricca di effetti, di sontuose scenografie e costumi, di tanti personaggi desunti dai bestiari mitologici: oltre ai fauni e al minotauro, sirene trasparenti, draghi, bestie invisibili con un piede solo, mostri marini giganti, una nube verdastra spiegata come un ‘sacrificio' che fa svaporare tutte le creature nel nulla. Forse, rispetto ai due film precedenti, è un po' più debole la storia, che, mancando anche di grandi nemici e di battaglie, fatica un po’ a puntare tutto sulla psicologia dei vari personaggi, e risulta quindi a tratti meno coinvolgente dei precedenti episodi.
(http://www.narnia.com e http://www.narnia.com/it/#/home)

- New Moon di Chris Weitz, sceneggiatura di Melissa Rosenberg e Stephanie Meyer (dal romanzo omonimo di S. Meyer), con Kristen Stewart, Robert Pattinson, Taylor Lautner, Dakota Fanning, Ashley Green ecc.
New Moon, il secondo capitolo della saga di Twilight della scrittrice Stephanie Meyer, più che un college-movie o un “mistery", come appariva il primo episodio, si rivela soprattutto «una rappresentazione dell'amore romantico (non casuali i richiami a Romeo e Giulietta), l'allestimento di una fiaba, dove Bella è l'eroina contesa e in pericolo costante, Edward il principe vittima di un crudele incantesimo e il "per sempre" è il finale scritto in partenza». Rispetto a Twilight di Catherine Hardwicke, New Moon ne conserva l'impianto visivo generale, ma, pur accentuandone il lato cupo e gotico della storia, mette in secondo piano il «motivo della fatale attrazione dei giovanissimi verso la morte e la diversità come rispecchiamento del subbuglio interiore che accompagna il passaggio all'età adulta». Qualche invenzione registica, buona fotografia, ma anche interpretazione nel complesso non eccelsa, sceneggiatura, nonostante la presenza dell'autrice, poco dinamica... Appuntamento al terzo capitolo della saga.
(http://www.twilightthemovie.com/ e http://www.newmoonmovie.org/)

- Il riccio di Mona Achache, sceneggiatura di M. Achache (dal romanzo L'eleganza del riccio di Muriel Barbery) con Josiane Balasko, Garance Le Guillermic, Togo Igawa, Anne Brochet ecc.
Tratto da una delle sorprese letterarie del 2007 (premi letterari e centinaia di migliaia di copie vendute, Il riccio della debuttante Mona Achache è un «elogio dolce amaro della cultura come risorsa nascosta (il “buon nascondiglio” come lo chiama Paloma riferendosi a Renée), capace di mettere in contatto persone apparentemente diversissime, di liberarle da un destino apparentemente già determinato dalla vita, dalle convenzioni borghesi e dal nichilismo un po’ inconsapevole della nostra epoca». Il film, caratterizzato da atmosfere di acceso lirismo, conduce lo spettatore nell'ambiente chiuso di un condominio parigino, dove la giovane protagonista depone penna e calamaio e riprende tutto quello che le rende la vita intollerabile e l'idea del suicidio ammissibile. A impedire un esito tragico interverranno la portinaia Renée Michel (il “riccio”), magistralmente interpretata da Josiane Balasko, e il gentiluomo nipponico Kakuro Ozu, che insegneranno alla bambina i segreti della vita, attraverso un rapporto pedagogico di continua e affettuosa interrogazione e adottando quella "distanza amorosa" che permette di vedere bene e di prendersi cura dell'altro. Allo stesso modo l'entrata in scena e nella vita ripiegata di Renée dei due eccentrici inquilini cambierà la sua vita, aprendola finalmente all'azione. Paloma e Kakuro, non soggetti per natura (quella dei bambini) e cultura (quella orientale) a pregiudizi o sovrastrutture, scoprono e danno nuova attenzione alla bellezza di Renée, esplorandone la profondità e l'affettività. La parte più riuscita del film è proprio quella che descrive il delicato rapporto che nasce tra il signor Ozu e la scontrosa Renée, in cui lei prima si nasconde (addirittura comicamente meditando di fingersi analfabeta di fronte al dono di una copia antica del suo amato Tolstoj), poi cede accettando una trasformazione che è insieme fisica e spirituale. Entrambi vedovi e feriti dalla vita, i due affrontano con spirito opposto questa dolorosa condizione, ma è la gentilezza testarda e priva di affettazione dell’orientale ad averla vinta sulla reticenza della francese. Alla fine, se Paloma riconosce che la morte, non è un tranquillo passaggio da un mondo senza senso all’assenza di sofferenza, ma una vera tragedia, il film lascia intendere che «ciò che fa la differenza è il senso che la vita assume: quello che conta davvero, non è tanto come e quando si muore, ma come si vive l’istante che potrebbe essere l’ultimo».
(http://www.leherisson-lefilm.com/)

- La Prima Linea di Renato De Maria, sceneggiatura di Fidel Signorile, Ivan Cotroneo e Sandro Petraglia, con Riccardo Scamarcio, Giovanna Mezzogiorno, Fabrizio Rongione ecc.
Il film di De Maria, più noto come regista televisivo della serie Distretto di Polizia, indaga l'universo dei “compagni che hanno sbagliato”, concentrandosi "liberamente" sulla vita e la relazione sentimentale di Susanna Ronconi e Sergio Segio, leader di Prima Linea, gruppo terroristico che, al pari delle Brigate Rosse, insanguinò l’Italia degli anni 70 e dei primi anni '80. Il regista, non ha realizzato, come qualcuno temeva, un’apologia delle “gesta” terroriste e nemmeno un’assoluzione comprensiva; anzi, il film, che parte dall’ultima “vittoria”, la liberazione di Susanna Ronconi e altre tre compagne dal carcere di Rovigo, prima dell'ineluttabile sconfitta, e poi torna sul passato con lunghi flashback, suona come netta condanna di quella stagione e dei suoi protagonisti. Anche se sicuramente inferiore al tedesco La Banda Baader-Meinhof, è comunque un film importante, perché indaga su tematiche (la stagione del terrorismo) nel complesso poco frequentate dal cinema italiano.
(http://www.luckyred.it/laprimalinea/)

- Twilight di Catherine Hardwicke, sceneggiatura di Melissa Rosenberg, con Kristen Stewart, Robert Pattinson, Taylor Lautner, Billy Burke ecc.
La regista Catherine Hardwicke, alla sua terza prova dopo il discusso Thirteen e il religioso Nativity, porta sullo schermo il primo romanzo della saga vampiresca di Stephanie Meyer, coniugando “efficacemente l’aspetto dark con quello romantico”. Più interessante nella prima parte, in cui propone “temi e sentimenti tipici dell’universo giovanile e adolescenziale: dai rapporti con i genitori a quelli con i coetanei, dai primi turbamenti amorosi alle schermaglie del rapporto sentimentale”, in questo caso fra “il leone e l’agnello”, cioè fra il vampiro Edward e l’umana Bella, ottimamente interpretata da Kristen Stewart (già apprezzata in Into the wild), che vorrebbe essere un amore assoluto, eterno. per sempre. Più scontata la seconda parte, quando la storia vira verso il classico thriller-horror e compaiono tre vampiri, che a differenza di Edward e della sua famiglia, continuano a uccidere e succhiare sangue umano: il più malvagio del terzetto punta gli occhi su Bella e cerca di strapparla al collega innamorato. Tuttavia una buona dose di autoironia e un grande senso del ritmo salvano il film da eccessive cadute e lo rendono apprezzabile anche da un pubblico adulto.

- Il bambino con il pigiama a righe di Mark Herman, sceneggiatura di Mark Herman, con Asa Butterfield, Zac Mattoon O'Brien, Domonkos Németh, Henry Kingsmill, Vera Farmiga, David Thewlis, Richard Johnson ecc.
Mark Herman, regista e sceneggiatore inglese, il cui lavoro più noto è stato finora Grazie Signora Thatcher (1996), riduce per lo schermo il romanzo dello scrittore irlandese John Boyne, il cui protagonista è Bruno, un bambino tedesco di otto anni con una passione sconfinata per l'avventura, nutrita dalle sue letture romanzesche e condivisa coi compagni di scuola. Il padre di Bruno, ufficiale nazista, viene promosso e diventa comandante di un campo di lavoro per prigionieri ebrei nel quale la morte di massa è "amministrata" mediante il lavoro, e non direttamente con le camere a gas. Bruno, mentre gioca, incontra, oltre il bosco e al di là di una barriera di filo spinato elettrificato, Shmuel, un bambino ebreo affamato di cibo e di affetto…. Il film racconta l'olocausto in modo non convenzionale: all’inizio assume lo sguardo dei persecutori, poi smaschera l’orrore di questo sguardo con gli occhi di un bambino tedesco. Forse non completamente credibile a livello di sceneggiatura, un po’ prevedibile nel finale, rimane comunque un film suggestivo, che evita gli stereotipi della storia “cattiva” e della contrapposizione tra infanzia idealizzata e abiezioni del mondo adulto (anche se con qualche schematismo nei personaggi maschili), elude cliché, sentimentalismi e scene madri, e, pur evitando una conclusione consolatoria, chiude la porta” sulla camera a gas, interponendo fra gli spettatori e il volto della Medusa la pietas di un narrare artistico che consenta di guardarla senza soccombere impietriti, atterriti”.

- La classe – Entre les murs di Laurent Cantet, sceneggiatura di Laurent Cantet e François Bégaudeau, con François Bégaudeau, Nassim Amrabt, Laura Baquela, Cherif Bounaïdja Rachedi, Juliette Demaille ecc.
Vincitore della Palma d’oro al 61° Festival di Cannes, La classe (ma forse il titolo francese era più pregnante) racconta con piglio documentarista, anche se il film non si presenta come tale, la realtà che studenti e docenti vivono, in una vera scuola della periferia parigina. Il protagonista è un insegnante, François Bégaudeau, autore del libro di cui la pellicola è una trasposizione, che interpreta se stesso, così come nelle parti di loro stessi recitano anche gli altri personaggi che popolano la scuola. Il professor Bégaudeau cerca non solo di trasmettere nozioni, ma anche di offrire la migliore educazione possibile ai suoi allievi, mettendo in gioco la propria umanità per incontrare quella dei suoi allievi, che non sempre hanno un comportamento inappuntabile e con i quali è in fondo facile passare dal confronto allo scontro. È una sorta di diario di viaggio attraverso un anno scolastico, in cui manca una linea narrativa precisa, salvo nell’ultima parte, quando il docente “si troverà dinanzi a un caso che lo metterà in una posizione difficile” che lo costringerà a un “intervento disciplinare nei confronti di un ragazzo problematico”. La scuola descritta da Cantet e Bégaudeau è “un microcosmo che sintetizza perfettamente le mille anime della Francia contemporanea multiculturale e multirazziale”, in cui essere educatore diventa una sfida sempre più difficile e nello stesso tempo affascinante.
(http://www.entrelesmurs-lefilm.fr/site/)

- La banda Baader Meinhof di Uli Edel, sceneggiatura di Bernd Eichinger e Stefan Aust, con Martina Gedeck, Moritz Bleibtreu, Bruno Ganz, Alexandra Maria Lara, Johanna Wokalek, Nadja Uhl, Stipe Erceg, Simon Licht, Daniel Lommatzsch ecc.
L’opera del regista tedesco Uli Edel, autore di un film cult degli anni ’80, Christiane F. - Noi i ragazzi dello zoo di Berlino (1981), racconta la storia della RAF (Rote Armee Fraktion), conosciuta anche come banda Baader Meinhof, dal nome dei suoi più famosi membri, la giornalista di sinistra Ulrike Meinhof e Andreas Baader, un piccolo criminale convertitosi all’estremismo di sinistra. Il film ne ripercorre le vicende dalla fine degli anni ’60 al tragico epilogo del suicidio collettivo nel carcere di Stammheim dopo il fallimento del dirottamento a Mogadiscio di un Boeing Lufthansa. L’uscita della pellicola è stata accompagnata in Germania da numerose proteste, che hanno accusato Edel di aver ecceduto sul versante del film d’azione e nella spettacolarizzazione di uno dei momenti più drammatici della storia della Repubblica federale tedesca, o, addirittura, di un’ambiguità di giudizio nei confronti delle imprese terroristiche della RAF. In realtà, anche se “apparentemente circonfusi di un’aura di coraggio e spregiudicatezza”, Baader e gli altri terroristi della banda appaiono in tutto il loro “dogmatismo ideologico”, che allora esercitava comunque un certo fascino su alcune frange del radicalismo di sinistra. Il film, che ricorda, nel taglio cronachistico e nello stile cinematografico di ottima qualità, Romanzo criminale di Michele Placido, è ottimamente recitato (fra i protagonisti Martina Gedeck, già vista nelle Vite degli altri, nella parte di Ulrike Meinhof) ed è soprattutto interessante nella rappresentazione storica e politica di un’epoca fra le più buie del secondo dopoguerra.

- Miracolo a Sant’Anna di Spike Lee, sceneggiatura di James McBride, con Derek Luke, Michael Ealy, Laz Alonso, Omar Benson Miller, Valentina Cervi, Pierfrancesco Favino, John Turturro ecc.
Accompagnato dalle immancabili polemiche da parte dell’ANPI, l’ultimo film di Spike Lee, se non raggiunge i vertici di La 25ª ora, è comunque un lavoro interessante, non esente da difetti (eccesso di flashback, dialoghi talvolta banali, personaggi ridondanti), ma capace di commuovere nel racconto di un dolore collettivo, quello del paese di Sant’Anna di Stazzema, vittima di una tragica rappresaglia nazista, capace, pur non volendo essere un film storico (come ripetutamente hanno dichiarato regista e sceneggiatore), di offrire della realtà del tempo una rappresentazione non semplicistica, anche se probabilmente Spike Lee, più che girare un film su un drammatico episodio della storia italiana, ha voluto raccontare “della dignità degli afroamericani, e del loro diritto ad avere una memoria e dunque una Storia”.
(http://miracleatstanna.movies.go.com/)

- Caos calmo di Antonello Grimaldi, sceneggiatura di Nanni Moretti, Laura Paulucci e Francesco Piccolo, con Nanni Moretti, Valeria Golino, Alessandro Gassman, Isabella Ferrari ecc.
Dal romanzo di Sandro Veronesi, un film che ha fatto molto (inutilmente?) discutere su una scena di sesso apparsa in rete ancora prima dell’uscita del film, e ha raccolto pareri contrastanti fra la critica specializzata. Il protagonista, interpretato da Moretti, è il dirigente di un'industria televisiva, che, dopo la morte della moglie per un infarto improvviso (avvenuta mentre lui, col fratello, stava salvando due donne che rischiavano di annegare), promette alla figlia di dieci anni di aspettarla sempre davanti alla scuola fino alla fine delle lezioni. Seduto su una panchina, riceve le visite e le rivelazioni dolorose dei colleghi e dei familiari, per consolarlo dal dolore o forse per trovare in lui conforto e solidarietà nell’affrontare i loro problemi. Caos calmo è un film “che stimola una serie di riflessioni sul dolore, sulla solitudine, sull'incapacità di comunicare”, ma che non è adeguatamente sorretto da una regia poco personale, da una sceneggiatura “piatta” e talvolta poco credibile e da prove nel complesso poco convincenti da parte degli attori.

- La ragazza che giocava con il fuoco di Daniel Alfredson, soggetto e sceneggiatura di Nikolaj Arcel e Rasmus Heisterberg (dal romanzo omonimo di Stieg Larsson), con Michael Nyqvist, Noomi Rapace, Annika Hallin, Per Oscarsson, Lena Endre ecc.
Seconda puntata della trilogia tratta dalla saga letteraria dello svedese Stieg Larsson, nella Ragazza che giocava con il fuoco i protagonisti sono ancora Mikael Blomkvist, direttore della rivista Millennium, che attacca i potenti e ne svela i misfatti, e l’hacker Lisbeth Salander, ottimamente interpretata da Noomi Rapace. Il regista danese Niels Arden Oplev viene sostituito dallo svedese Daniel Alfredson, ma l’impianto del film, sempre molto fedele al romanzo, rimane lo stesso, anche se il primo episodio risultava più intrigante, “pervaso da un’atmosfera sospesa e malata che incuteva angoscia”, mentre il secondo film è un thriller più classico, nella prima parte un po’ noioso, con un maggiore tasso di morbosità. Tuttavia, man mano che la storia va avanti e si scatena la “caccia all’uomo”, il ritmo diventa incalzante e lo spettacolo se ne avvantaggia. A differenza degli Uomini che odiano le donne la trama risulta piuttosto intricata e difficile da seguire per chi non ha letto i libri.

- The Millionaire di Danny Boyle, sceneggiatura di Simon Beaufoy, con Dev Patel, Anil Kapoor, Freida Pinto, Madhur Mittal, Irfan Khan, Mia Drake ecc.
Danny Boyle, regista del sopravvalutato Trainspotting e del penoso The Beach, fa finalmente centro. The Millionaire racconta la commovente storia di Jamal, un diciottenne cresciuto negli slum di Mumbai, che partecipa all'edizione indiana di “Chi vuol essere Milionario”: lo scopo del protagonista è quello di rivelarsi a Latika, la fanciulla amata fin dall’infanzia, più volte persa e ritrovata, e riscattarla (con la vincita di venti milioni di rupie) dalla “protezione” di un pericoloso criminale. La scalata trionfale alla vetta del quiz e alle caste sociali infastidiscono il conduttore del programma, che cerca di boicottarne la vittoria, ingannandolo e facendolo arrestare. Sospettato di avere imbrogliato e torturato inutilmente, Jamal rivela al commissario di polizia la verità: conosceva le risposte perché ciascuna di quelle domande ha interrogato la sua straordinaria vita, devota a Latika e votata all'amore.
(http://www.foxsearchlight.com/slumdogmillionaire/)

Recensione

- Uomini che odiano le donne di Niels Arden Oplev, soggetto e sceneggiatura di Nikolaj Arcel e Rasmus Heisterberg (dal romanzo omonimo di Stieg Larsson), con Michael Nyqvist, Noomi Rapace, Lena Endre, Sven-Bertil Taube, Peter Haber ecc.
Si tratta del primo episodio tratto dalla “Trilogia di Millennium” di Stieg Larsson, un grandissimo successo editoriale anche in Italia, ma di cui l’autore non ha potuto godere essendo morto prima di assurgere a fama internazionale. Il film rispecchia fedelmente gli avvenimenti del libro, riproponendone una delle chiavi di lettura più intriganti, cioè la “denuncia dello strapotere dello stato assistenzialista svedese, per il quale praticamente ogni cittadino deve essere tutorato, anche se regole e norme non impediscono il proliferare delle crudeltà a scapito dei più deboli”, senza dimenticare le famigerate politiche eugenetiche, messe in atto dalla socialdemocrazia svedese per “preservare il ceppo popolare svedese dall'incrocio con elementi razziali stranieri”, che furono fonte di ispirazione per la Germania hitleriana. Interpretato da attori decisamente poco conosciuti a livello internazionale, il film è un thriller ben costruito, interessante nella costruzione dei personaggi e nell’intreccio, facilmente comprensibile anche da chi non ha letto l’opera di Larsson, insomma, un buon prodotto “di genere”, con una certa tensione e un paio di scene di violenza sessuale molto angoscianti. La riduzione cinematografica ha però obbligato ad alcuni tagli, soprattutto nella caratterizzazione del personaggio di Mikael Blomkvist, che è il vero protagonista del romanzo, mentre l’hacker Lisbeth compare stabilmente solo circa a metà del libro.
(http://www.uominicheodianoledonne.it/)

- Il curioso caso di Benjamin Button di David Fincher, sceneggiatura di Eric Roth (dal racconto di Francis Scott Fizgerald), con Brad Pitt, Cate Blanchett, Tilda Swinton, Julia Ormond, Jason Flemyng ecc.
David Fincher, regista di alcuni film hollywoodiani di grande successo, fra cui Alien 3 e soprattutto Seven, ed Eric Roth, sceneggiatore di Forrest Gump, alle prese con un racconto di Scott Fitzgerald, l’autore del Grande Gatsby, raccontano la storia di Benjamin Button, nato il giorno della fine della Prima guerra mondiale, ma con la salute e l’aspetto di un novantenne, affidandosi a un espediente classico: le memorie di un diario letto alla protagonista ormai anziana e in punto di morte. Benjamin attraversa le vicende del Novecento americano, dalla Grande Guerra a Kathrina, ma senza realmente interagire con la Storia, come invece succedeva a Forrest Gump, per cui il tema centrale del film rimane quello, tipico di Fitzgerald, della “lotta impari dell'individuo con il suo destino”. Nonostante la candidatura a 13 Oscar (di cui solo tre statuette “minori” sono andate al film), la pellicola di Fincher vince la sfida tecnica grazie al gigantesco lavoro fatto sull'invecchiamento e il ringiovanimento digitali di Brad Pitt, ma perde quella psicologica, non riuscendo a convincere pienamente nel tratteggio della figura del protagonista e della sua amata (una non eccelsa Cate Blanchett), e risultando troppo illustrativo nella sua intersezione con la Storia.
(http://www.benjaminbutton.com)

- Katyn di Andrzej Wajda, sceneggiatura di Andrzej Wajda, Przemyslaw Nowakowski e Wladyslaw Pasikowski, con Andrzej Chyra, Maja Ostaszewska, Artur Zmijewski, Danuta Stenka, Jan Englert ecc.
Il film del grande regista polacco (autore di due capolavori come L’uomo di marmo e Danton) rievoca la strage di Katyn, quando, nella primavera del 1940, 15.000 ufficiali e graduati polacchi vennero uccisi con un colpo alla nuca e seppelliti in fosse comuni nella vicina foresta. I tedeschi scoprirono le fosse nell'aprile del 1943 ma i russi scaricarono su di loro la colpa del massacro, ammettendone la responsabilità solo dopo la fine del comunismo, negli anni ’90. Wajda, il cui padre fu tra i polacchi massacrati, “racconta la vicenda attraverso la storia di Anna, la moglie di un capitano di cavalleria che, pur non volendo accettarle, si troverà di fronte alle prove dell'esecuzione del marito così come accadrà ad altre donne”, ma che dovrà anche scegliere “se proclamare la verità, pagando con la vita, o preferire il doloroso silenzio, per cercare di ricostruire dalle macerie un popolo”.
(http://katyn.netino.pl/en/)

Recensione

- Popieluszko, con Adam Woronowicz, Zbigniew Zamachowski, Marek Frackowiak, Joanna Szczepkowska
Dopo il film di Agnieszka Holland, Un prete da uccidere, questa è la seconda opera dedicata alla figura di Padre Jerzy Popieluszko, che esce a 25 anni esatti dall’uccisione del giovane sacerdote che divenne, all’inizio degli anni ‘80 la guida spirituale del sindacato libero Solidarnosc e una spina nel fianco del regime comunista. Il film, fedelissimo alla verità storica, piuttosto lungo, ma appassionante, racconta così l’esperienza umana di Popieluszko che vediamo predicare tra la sua gente in messe strapiene di fedeli, ma anche di spie, lo ascoltiamo parlare di libertà e verità ma sempre fedele al suo ministero sacerdotale, non dimenticandosi mai di essere un prete e non un agitatore, testimone appassionato di Cristo. In Popieluszko – “Non si può uccidere la speranza” si respira un forte senso di verità enfatizzato dall’interpretazione del protagonista Adam Biedrzycki (davvero somigliante al sacerdote) e dall’inserimento di numerosi spezzoni documentari, con le vere immagini del prete polacco, di Walesa e dei vari viaggi di papa Wojtyla nella sua terra.
Essendo stato prodotto con il contributo decisivo della televisione polacca, il film risente di un’impostazione, appunto, televisiva e poco cinematografica, anche se siamo lontani dagli standard delle opere biografiche cui ci ha abituati la televisione italiana: insomma, non siamo di fronte a un capolavoro come Katyn di Wajda, non ci sono invenzioni di regia o di sceneggiatura folgoranti, ma una sontuosa ricostruzione storica molto attenta all'identità del parroco e ai rapporti fra i personaggi, proposta con un taglio documentaristico e a tratti didascalico, importante in un momento in cui, soprattutto per i giovani, questi avvenimenti appaiono lontanissimi nel tempo e l’Europa sembra sempre più dimenticare le sue radici.

- Vincere di Marco Bellocchio, soggetto e sceneggiatura di M. Bellocchio, Daniela Ceselli e Alfredo Pieroni, con Filippo Timi, Giovanna Mezzogiorno, Fausto Russo Alesi, Michela Cescon ecc.
Il film racconta la storia del giovane Benito Mussolini, direttore del quotidiano socialista “Avanti!”, fieramente anticlericale e antimonarchico, che incontra Ida Dalser, una donna che lo ama al punto di vendere quello che ha per aiutarlo a finanziare un nuovo quotidiano, il “Popolo d' Italia”, e la nascita del movimento fascista, e da cui avrà un figlio, Benito Albino. Marco Bellocchio affronta una pagina di storia italiana poco conosciuta e ne fa un pretesto per intrecciare il tema del potere con quello delle dinamiche psichiche dei personaggi, costruendo il film «come un melodramma sia sul piano musicale che su quello della struttura, con la passione dominante all'inizio a cui seguono la disillusione e la morte». Ne emerge la tesi che, mentre in Italia la follia diviene sempre più collettiva, è quasi ovvio che la normalità (rappresentata da Ida e da Benito Albino) venga trattata come devianza: così, mentre il regime avvia il Paese verso la catastrofe della guerra, la Dalser e suo figlio vengono vengono rinchiusi negli Istituti psichiatrici. Stilisticamente e tematicamente il film si inserisce a pieno titolo nella filmografia di Bellocchio, ma, secondo parecchi critici, senza trovare «una sintesi che arrivi immediatamente al cuore dello spettatore».

- Defiance - I giorni del coraggio di Edward Zwick, sceneggiatura di E. Zwick e Clayton Frohman, con Daniel Craig, Liev Schreiber, Jamie Bell, George MacKay ecc.
Zwick, regista di molti kolossal come L’ultimo samurai o Attacco al potere, ma anche del bellissimo Glory – Uomini di gloria, che nel lontano 1989 vide praticamente l’esordio di un giovanissimo Denzel Washington, racconta in questo film la storia vera dei fratelli Tuvia e Zus Bielski, che nella Bielorussia del 1941 sopravvivono al massacro dei genitori perpetrato dai nazisti e trovano riparo nelle foreste, dove giocavano da bambini. Qui, raccogliendo altri fuggiaschi, organizzano la resistenza e salvano più di 1200 ebrei. Si tratta soprattutto di un film d’azione, anche se presenta interessanti spunti di riflessione (per esempio interrogandosi sulla pressoché totale assenza di resistenza da parte degli ebrei, in cui però tutto appare abbastanza scontato e prevedibile, fra accenti retorici ed eroismi di stampo hollywoodiano, nonostante la buona recitazione degli interpreti (in primis il nuovo 007 Daniel Craig).
(http://www.defiancemovie.com/)

- Stelle sulla terra, di Aamir Khan, India 2007, 165 minuti
La storia affronta un problema oggi assai diffuso, ma fino a non molti anni fa poco studiato, la dislessia, e ne mette in luce le ricadute sulle dinamiche dell’apprendimento. La trama è abbastanza semplice e non manca il lieto fine.

- Alice in Wonderland di Tim Burton, sceneggiatura di Linda Woolverton (dal romanzo di Lewis Carroll), con Mia Wasikowska, Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Anne Hathaway, Michael Sheen ecc.
Terza riduzione cinematografica del romanzo di Lewis Carroll dopo un dimenticato film americano del 1933 e il celebre cartoon di Walt Disney del '51: grande attesa di pubblico e critica per l'ultimo lavoro di Tim Burton, regist dotato di grande creatività, per qualcuno un vero genio visionario. Purtroppo il film si rivela una mezza delusione, “sia dal punto di vista visivo, sia dal punto di vista della poetica del regista”, nonostante la spettacolarità della pellicola in 3D, una grande cura nel rappresentare i numerosissimi personaggi del romanzo, dallo Stregatto alle scenografie del palazzo della Regina Rossa fino al Cappellaio matto, interpretato da un Johnny Depp piuttosto sopra le righe, molte scene spiritose e i mirabolanti effetti dei capitoli finali, dal tentato taglio della testa del Cappellaio matto (con il cappello che vola in alto) alla battaglia finale tra gli eserciti delle due regine. Tuttavia “il mondo poetico di un regista che ha fatto della diversità il fondamento del proprio discorso cinematografico si perde letteralmente in un coloratissimo, ma anonimo viaggio tra bizzarre creature”.
(http://adisney.go.com/disneypictures/aliceinwonderland/)
(http://www.disney.it/Film/alice/)

- L’uomo che verràdi Giorgio Diritti, sceneggiatura di G. Diritti, Giovanni Galavotti e Tania Pedroni, con Alba Rohrwacher, Maya Sansa, Claudio Casadio, Greta Zuccheri Montanari, Eleonora Mazzoni ecc.
Il film rievoca i sanguinosi eventi del settembre 1944, e in particolare l’eccidio di circa 770 persone, passato alla storia come strage di Marzabotto, che in realtà coinvolse tutta la zona di Monte Sole, nel bolognese. Il regista, alla sua seconda prova dopo l'interessante esordio di Il vento fa il suo giro, non ha realizzato il “solito” film sulle malefatte naziste, con tutti gli stereotipi del caso che banalizzano temi e racconti drammatici, ma ha voluto rappresentare la follia di quel momento storico affidando il racconto allo sguardo di una bambina atterrita e insieme decisa a salvare il fratellino appena nato, una bambina diventata muta dopo un trauma ma che guarda e osserva tutto con candore e chiarezza. Con questa scelta Giorgio Diritti riesce, anche grazie all'efficacia del titolo (L’uomo che verrà è il bambino appena nato, ma anche la “promessa di un’umanità cambiata”), a far cadere l’accento del racconto su una speranza quasi impossibile. Il film è caratterizzato da scelte di stile, di linguaggio (la pellicola è in gran parte in un dialetto bolognese antico oggi sconosciuto, e presenta i sottotitoli in italiano, ricordando non a caso L’albero degli zoccoli di Olmi, dalla cui scuola il regista proviene) e di volti, attrici note e interpreti sconosciuti al grande pubblico, che lo rendono un piccolo capolavoro.
(http://www.uomocheverra.com/)

- Dorian Graydi Oliver Parker, sceneggiatura di Toby Finlay (dal romanzo di Oscar Wilde), con Ben Barnes, Colin Firth, Rachel Hurd-Wood, Fiona Show, Emila Fox ecc.
Uno dei più celebri romanzi dell'estetismo europeo, The picture of Dorian Gray di Oscar Wilde, viene portato sullo schermo da un habitué (sue le trasposizioni di L’importanza di chiamarsi Ernesto e Un marito ideale) negli adattamenti dell’autore inglese, il regista Oliver Parker.
Interpretato da Ben Barnes, principe Caspian della saga di Narnia, il nuovo Dorian Gray punta molto sull'horror (la soffitta minacciosa, la voce del quadro nascosto in soffitta, i vermi che visualizzano la corruzione morale di Dorian, il “mostro” che quasi esce dal quadro nella scena finale) e stravolge la trama del romanzo inserendo un'ellissi temporale (il protagonista si allontana per 20 anni da Londra e quando torna trova naturalmente gli altri radicalmente cambiati) e un personaggio femminile “rivoluzionario” (la figlia suffragetta di Wotton, l'anima dannata di Dorian, che s’innamora del protagonista). La regia di Parker, piena di movimenti di camera, ma non sempre attenta a cogliere le psicologie dei personaggi, punta soprattutto sugli effetti speciali, che vorrebbero illustrare gli incubi nevrotici del protagonista e rendere visibile la sua mostruosità, la miscela umana e ripugnante di un dandy intento a realizzare una vita inimitabile, vendendo l'anima al diavolo, ma che, pur spettacolari, non riescono da soli a far decollare il film.
(http://doriangraymovie.co.uk/)

- Sherlock Holmesdi Guy Ritchie, sceneggiatura di Michael Robert Johnson, Anthony Peckam, Simon Kinberg e Lionel Wigram (dai romanzi di Arthur Conan Doyle), con Robert Downey J., Jude Law, Rachel McAdams, Mark Strong ecc.
Ennesima riproposizione cinematografica del mitico detective creato da Sir Arthur Conan Doyle: il regista Guy Ritchie, forse più noto per essere stato marito di Madonna, offre la sua personale rilettura di Sherlock Holmes con un film che forse non ha molto a che fare con i romanzi originali, ma è abbastanza divertente e coinvolgente. Ben sorretto da ottimi interpreti (Robert Downey jr. nei panni dell'investigatore, Jude Law in quelli dell'ineffabile Dottor Watson, Mark Strong nel ruolo del malvagio Lord Blackwood e Rachel McAdams in quello di Irene Adler, l'unica donna per cui, a detta di Watson, Holmes abbia provato un sentimento, se non di amore, per lo meno di ammirazione), il lavoro di Ritchie riesce a mescolare in modo credibile, anche se non sempre convincente, azione e umorismo, riproponendo, almeno all'inizio la figura del detective così come Conan Doyle l'aveva immaginata: uomo di straordinario acume, ma anche appassionato all'azione, ordinato mentalmente come nessun altro, ma anche dedito a una vita da bohemien nel disordine degli innumerevoli ritagli di giornale, che raccoglie e analizza con maniacale attenzione, della polvere (anche quella bianca...) e dell'assenza di regolari abitudini. Tuttavia la sceneggiatura non appare sempre adeguata (troppe scazzottature e troppe lungaggini), gli attori, pur bravi, non corrispondono pienamente allo spirito dei personaggi dei romanzi (in particolare il Dottor Watson di Jude Law), insomma rimpiangiamo lo Sherlock Holmes di Billy Wilder, che, benché non fosse tratto dai romanzi di Conan Doyle, rimane a nostro parere quello più fedele allo spirito originale del detective.
(http://sherlock-holmes-movie.warnerbros.com/dvd/index.html)
(http://wwws.warnerbros.it/sherlock/?frompromo=movies_comingsoon_sherlock_holmes)

- Harry Potter e il Principe mezzosangue di David Yates, sceneggiatura di Steve Kloves (dal romanzo omonimo di K. D. Rowling), con Daniel Radcliffe, Emma Watson, Rupert Grint, Michael Gambon, Alan Rickman, Helena Bonham Carter, Tom Felton ecc.
Il penultimo episodio della saga del maghetto creato dalla fantasia di K.D. Rowling si apre alla grande con l’assalto dei Mangiamorte a Londra e ai babbani, che sfocia nella distruzione del Millennium Bridge, con grande sfoggio di effetti raffinati, che danno al film un’intensa bellezza visiva, soprattutto meteorologica, perché le immagini più affascinanti (vasti paesaggi immersi nella nebbia o sepolti sotto la neve come in un dipinto fiammingo; un temporale in cui tra le nuvole grigie grevi di pioggia scivolano i neri pelosi tentacoli del Male che devastano la città e i suoi ponti; un finale in cui il mare si trasforma in un oceano di fuoco e fiamme) dipendono dal tempo atmosferico. Nel film domina un clima cupo e sinistro, in cui il regista sceglie “una tavolozza dai colori smunti, lividi, evanescenti”, nel quale i corridoi scolastici della scuola di Hogwarts non risuonano più di risate e schiamazzi, ma di frasi smozzicate dette a bassa voce, per non farsi sentire dal Male che avanza. Classico film “di passaggio” prima dal climax finale, che verrà proposto in due episodi, Harry Potter e il Principe mezzosangue non ha forse le felici invenzioni del precedente Harry Potter e l'ordine della Fenice, ma riesce a rendere credibile la crescita dei protagonisti (a parte forse il Potter di Daniel Radcliffe, che del trio è probabilmente la caratterizzazione più debole), stretti fra il destino che incombe e i turbamenti amorosi tipici dei loro coetanei.
(http://harrypotter.warnerbros.com/harrypotterandthehalf-bloodprince/)
(http://harrypotter.warnerbros.it/site/mainsite/index.html)

Operazione Valchiria

- Operazione Valchiria di Bryan Singer, sceneggiatura di Christopher McQuarrie e Nathan Alexander, con Tom Cruise, Kenneth Branagh, Billy Nighy, Carice van Houten, Thomas Kretschmann, Terence Stamp, David Bamber ecc.
Gravato da numerose polemiche già durante la lavorazione per aver affidato a Tom Cruise, aderente a Scientology, il ruolo dell’eroico colonnello Claus von Stauffenberg, il film di Bryan Singer (I soliti sospetti, X-Men, Superman returns) è un colonnello della Wehrmacht che, rientrato in Germania in seguito alle ferite riportate in Africa, si unisce a un gruppo di militari di grado elevato che intendono ridurre Hitler all'impotenza. Il piano prevedeva di attentare (per la quindicesima volta!) alla vita del Führer, accusare le SS dell'omicidio, neutralizzarle e assumere il potere per mettere fine alla guerra. L’attentato però fallì, e Hitler riuscì rapidamente a reagire, anche per gli errori e le esitazioni di alcuni congiurati, stroncando la rivolta nel sangue. Il film è senza dubbio interessante, utilissimo per far conoscere ai più un’altra faccia dalla Germania nel buio periodo nazista (sul solco del bellissimo La rosa Bianca), forse con qualche pecca nella regia, che avrebbe potuto soffermarsi più ampiamente sul percorso morale che condusse i congiurati (quasi tutti militari di origine aristocratica) a una scelta difficile e pericolosa, e che non sa rinunciare a certi effetti hollywoodiani, ma la prova degli attori (a parte Cruise, che non è del tutto convincente, ma questa non è probabilmente una sorpresa) è di grandissimo livello, la ricostruzione ambientale perfetta, i costumi impeccabili, così come la fotografia.
(http://valkyrie.unitedartists.com/)

Recensione