Dove sono finiti i Pas?

Abbiamo già avuto modo, nello scorso editoriale, di mettere sotto osservazione la questione della formazione iniziale degli insegnanti. Vi ritorniamo, perché molti sono i colleghi impegnati in questa defatigante corsa al titolo abilitante che sono i Percorsi Abilitanti Speciali.

Impegno gravoso
Si tratta di un impegno gravoso che spesso sottopone i corsisti a turni non proprio rilassanti: due o tre pomeriggi a settimana, per chi insegna e, normalmente, ha famiglia e figli ancora piccoli, non sono uno scherzo.
Il punto è, come già è successo lo scorso anno per il Tfa, che si arriva sempre al limite dei tempi massimi: i corsi iniziati, da parte delle università virtuose, sono già in zona Cesarini per poter far abilitare i corsisti entro luglio: in questo caso i corsisti forse potranno (il condizionale è d'obbligo) iscriversi alle graduatorie di istituto di seconda fascia, se le graduatorie biennali si apriranno dopo giugno: viste le lungaggini ministeriali, forse qualche speranza può esserci.

A macchia di leopardo
Il fatto è che molti sono anche i corsi che sono stati rimandati al prossimo anno, e anche molti quelli che, pur attivati, non sono ancora partiti! Alcuni atenei ne prevedono l'avvio a giugno! E dire che i tempi tecnici, pur stretti, avrebbero fatto pensare ad un avvio entro marzo: ma così non è.
Non è solo una questione di tempi: alcune università non hanno ancora emesso i bandi, altre (il Politecnico di Milano ad esempio) non li vogliono attivare perché non condividono la mancanza di una prova selettiva!
Ancora, non pochi atenei – a sentire alcuni corsisti – suppliscono in modo indiretto a questa carenza, moltiplicando gli esami, che fungono appunto da sbarramento selettivo.
Molti sono anche le università che non hanno avviato i corsi (soprattutto quelli per l'infanzia e la primaria) perché affermano di non poter far fronte alle troppo numerose richieste.

Riflessioni
Ora, l'atteggiamento degli atenei dice almeno tre cose:
1) che le università si sentono non solo le responsabili del processo, ma si arrogano esse stesse il ruolo del legislatore;
2) gli stessi atenei non riescono a contenere, in alcuni casi, il numero elevato di corsisti con un'adeguata offerta formativa;
3) le università fanno emergere un chiaro giudizio negativo sui corsisti perché 'precari' ammessi senza prove preselettive. In verità, è lo stato che li ha chiamati ad insegnare e ne ha avuto bisogno, non offrendo se non pochissime occasioni per abilitarsi.

Conseguenze: c'è un baco nella legge?
Forse tutto questo è una sorta di campanello di allarme: non vorrà, forse, indicare che le istituzioni universitarie non sono gli organi più adeguati a dirigere il processo della formazione iniziale degli insegnanti?
Senza nulla togliere agli atenei, anzi volendo proprio valorizzare il loro peculiare – e imprescindibile – ruolo di garanti della correttezza teorica delle conoscenze, rimane però completamente scoperta l'altra questione, ovvero l'aspetto pratico dell'insegnamento. Su questo punto, il decreto di istituzione dei Pas ha, a nostro avviso, commesso una disattenzione: non è possibile chiedere alle università di garantire la formazione dei giovani docenti senza prevederne il tirocinio. L'assunto di fondo, ovvero che chi insegna da almeno tre anni, il tirocinio lo ha già fatto, contiene un'ipotesi che non possiamo pienamente condividere: perché i giovani docenti hanno comunque bisogno di 'riflettere criticamente' sul loro operato in classe alla luce delle acquisizioni teoriche che l'università potrà fornire loro. Un conto è non chiedere di fare ore di tirocinio, se non quelle del loro stesso insegnamento – siamo d'accordo –; un altro è quello di non prevedere momenti di laboratorio sulla didattica, sul loro fare scuola quotidiano, sulla loro azione d'aula, che sono il cuore del nostro lavoro.

Gli atenei virtuosi
Sta di fatto che alcuni atenei, avendo a cuore i corsisti, senza pregiudizi di sorta, li hanno accolti, hanno fatto partire i corsi e hanno anche cercato di rimediare alle carenze del legislatore chiedendo un supporto ai tutor coordinatori che – ricordiamolo – non sono stati chiamati in causa direttamente perché i Pas non prevedono il tirocinio; tutto questo perché le università più attente non se la sono sentita di arrogarsi un onere (la didattica, la pratica d'aula, ecc.) che non è di loro pertinenza!

Una proposta
Proprio tutte queste incongruenze pratiche e teoriche, ci fanno guardare con interesse a tutti i tentativi di meticciamento tra scuola e università, nell'ottica di una loro reale collaborazione. Per questo ci sembra interessante anche la proposta della UIL–Scuola in una lettera al ministro riguardo ad un provvedimento d’urgenza «che demandi sia la gestione che l’organizzazione dei corsi alle istituzioni scolastiche».
Perché, allora, non demandare alle Associazioni professionali, che già fanno – per loro stessa natura – una riflessione teorica sul sapere pratico, il fulcro dell'organizzazione e della gestione della formazione iniziale? Sarebbe una proposta coerente, qualificante ed anche economicamente interessante.