Formazione obbligatoria e permanente: e se fosse anche libera e 'personalizzata'?

Con la Legge 107 la formazione dovrebbe diventare obbligatoria per tutti gli insegnanti.
Ma, come facciamo di solito, proviamo a capire concretamente che cosa potrebbe succedere: anche perché - per ora - sembra tutto fermo e nebuloso.

Molta confusione
Innanzitutto non sono chiare le ore richieste: nulla si dice e nulla si deduce nelle pieghe della legge.
Parrebbe che tutti i docenti di ruolo siano vincolati alla formazione, essendo appunto obbligatoria.
Si scopre però che i fondi messi a disposizione per tale formazione dallo Stato sono solo 40 milioni di euro, non certo in grado di fornire a tutti i docenti di tutte le scuole d'Italia un corso di aggiornamento. Si incomincia a vociferare che si potrebbe procedere come per la formazione in servizio dei docenti di sostegno specializzati: gli uffici periferici del Miur, in particolare, gli USR, erogherebbero dei corsi attraverso scuole-polo, così da coinvolgere solo alcuni docenti per scuola. Tra l'altro: i fondi si intendono per chi il corso lo tiene, non certo per chi lo frequenta!

Chi deve partecipare?
Se è vero che questa legge vuole esaltare l'autonomia delle scuole, è pur vero che, in qualche modo, la limita, dal momento che le istituzioni scolastiche devono muoversi all'interno del Piano nazionale sulla formazione (non ancora approvato) e - in subordine - ai loro stessi PTOF e piani di miglioramento. Il che è corretto metodologicamente, ma pone qualche criticità nella pratica.
Infatti, ciò che andrebbe scongiurato, e che invece si incomincia a leggere su alcuni siti dedicati, è la possibilità che le scuole coinvolgano nella loro formazione solo alcuni docenti. Ad esempio, quelli direttamente coinvolti nel PdM progettato dalla scuola; oppure quelli implicati negli esiti - non positivi - dei questionari Invalsi.
Per quanto riguarda la prima ipotesi, se ad esempio una scuola avesse scelto di intervenire sull'orientamento in uscita, sarebbero coinvolti solo i docenti da sempre responsabili dell'orientamento: una piccola parte del corpo insegnante e - per di più - i docenti che già normalmente si aggiornano.
Ancor peggio, se si volessero implicare solo gli insegnanti coinvolti nelle prove Invalsi: perché mai solo quelli di lettere e di matematica? Non si tratta soltanto delle conoscenze specifiche di italiano o matematica, ma di competenze che riguardano la comunicazione, il ragionamento, la riflessività, e così via, e quindi afferiscono ad ogni docente del consiglio di classe!
Il vincolo posto dalla L. 107, perciò, potrebbe essere trasformato dalle scuole in una blindatura innaturale rispetto alla scelta degli argomenti dei corsi di formazione che la scuola deve indicare nel PTOF: aggiornamenti che potrebbero non cogliere i veri bisogni dei docenti.

La libertà dei docenti rispetto alla formazione
Per questo vorremmo suggerire ai docente, nel momento in cui si approva il PTOF , di fare in modo da deliberare un ventaglio molto ampio di argomenti rispetto alla formazione, in modo da rispondere alle esigenze della scuola, ma anche dei singoli insegnanti.
Facciamo degli esempi: se in una scuola i risultati di matematica sono inferiori alle medie nazionali/regionali, dovrebbero essere organizzati solo corsi per le materie scientifiche? E gli altri?
Inoltre: i livelli di formazione sono molto differenziati. Accanto all'insegnante completamente digiuno di aggiornamento, ve ne sono altri che, negli anni, hanno maturato una ricca competenza in alcuni ambiti: perché, allora, i docenti dovrebbero essere coinvolti tutti allo stesso livello? Perché non si potrebbero scegliere altri corsi, in altre regioni o stati? Oppure perché un docente non potrebbe formarsi su una questione per lui più significativa? Certo, rimane il Bonus da 500 Euro: ma questa risulta una scelta personale, mentre sussiste il problema del piano della scuola che, una volta configurato, diventa obbligatorio per tutti i docenti.

La formazione dall'alto
Non vorremmo che si assistesse alla solita formazione a cascata dall'alto: corso proposto dal Miur, o dall'Usr o corso di rete di scuole che sia. La cosa migliore sarebbe che le scuole potessero accedere direttamente ai fondi (pochi o tanti che siano…) e potessero progettare un aggiornamento a misura delle reali - e variegate - necessità.
E che i docenti potessero individuare l'argomento e la modalità di formazione più consona. Sappiamo infatti che non tutti i formatori e le associazioni affrontano le questioni nello stesso modo: e se c'è un dato sufficientemente evidente - anche se solo per evidenza empirica - è che una formazione cambia l'insegnamento d'aula se risponde al bisogno reale del docente. Per questo, è proprio l'insegnante che dovrebbe poter scegliere il corso e l'associazione che più rispondono alle sue reali domande, curiosità, interessi: e sarebbe anche conveniente che i singoli docenti potessero proporre nelle proprie scuole corsi e associazioni che reputano validi.
Insomma, solo se c'è reale autonomia e libertà, la formazione può essere efficace, altrimenti - come tanti corsi erogati dimostrano - è solo un ulteriore onere burocratico.