Tra concorsi, competenze e… capacità

Tra le parole d'ordine che compaiono stabilmente nei documenti ufficiali del Miur, c'è sicuramente il concetto di competenza, tanto è vero che compare anche nelle Avvertenze generali per il futuro concorso per i docenti.

Le competenze
Come ha ben ricordato G. Chiosso in un suo recente articolo(1), le competenze compiono 10 anni, perché nel 2006 veniva pubblicata la "Raccomandazione" europea sulle competenze chiave per l'apprendimento permanente. Eppure rimangono ancora, per molti insegnanti, un 'oggetto oscuro'.

Un'altra visione
Scrive Chiosso che oggi fa capolino un'altra riflessione tra gli studiosi "sull'importanza delle non cognitive skills (motivazione, tenacia, perseveranza, affidabilità, auto-disciplina)". Al punto che si è addirittura arrivati a parlare "della necessità che la famiglia e la scuola, se vogliono assicurare un futuro sereno ai rispettivi figli ed allievi, si premurino di forgiarne il carattere e cioè un temperamento adatto a confrontarsi con le difficoltà della vita" e a puntare sulle capacità, cioè gli aspetti "immateriali", sulle capacità relazionali, interpersonali, sull'immaginazione e così via.

Il disagio
Perché questa nostra riflessione? Perché non ci entusiasma il dibattito, spesso asfittico, con cui a scuola si affronta la questione delle competenze, con discussioni non raramente bizantine per distinguere conoscenze da abilità e competenze. Le nostre urgenze di insegnanti sono altre. Tutti noi abbiamo di fronte i volti dei nostri alunni, spesso annoiati, e pieni di un disagio anche profondo.
In che modo e in che senso le competenze ci aiutano? E ci aiutano? Sicuramente sì. Ma ci colpisce questa nuova tendenza perché parlare di capacità e non di competenze - sottolinea Chiosso - vuol dire puntare sull'essere e non sul fare. E non già sull'essere come dover essere o come serie di comportamenti da tenere! Vuol dire guardare ai nostri alunni come qualcuno e non come qualcosa che dobbiamo fare per loro.
Per questo ci pare illuminante quello che ha detto Carron al Convegno di Bologna (2), quando ha sottolineato che il disagio è di 'natura affettiva', per cui i ragazzi fanno fatica ad aderire alla realtà che hanno davanti. Perché è venuta meno la capacità di riconoscere la realtà.
Continua Carron: "Secondo me, questo è cruciale per capire qual è la sfida davanti alla quale siamo. Sarebbe nulla se si trattasse solo di una debolezza etica, perché vorrebbe dire che c’è ancora tutta l’energia dell’uomo e che si tratterebbe solo di orientare, di dare una spinta adeguata a tale energia. Ma qui il problema è la mancanza di capacità di cogliere le evidenze e quindi l’incapacità di mobilitare tutto l’io come conseguenza del riconoscimento di ciò che c’è. Ciò significa che ci troviamo in una situazione esistenziale in un certo senso nuova, che riguarda ogni aspetto del vivere, dalla famiglia a tutto il resto. Noi adulti facciamo la verifica della diversità della sfida perché, quando stiamo davanti ai ragazzi, riconosciamo che non è immediato il rapporto con loro e che i nostri tentativi non fanno tornare i conti."
Tentativi - continua Carron - che tendono a spiegare il disagio dei nostri studenti con qualcosa che è capitato in passato, con le condizioni familiari, sociali ecc. ecc. cioè con gli antecedenti, psicologici, sociologici, culturali, storici.
Ma di fronte a tutto ciò, quello che può permettere al ragazzo di uscire dalla sua situazione è che ci sai qualcuno che sia per lui una provocazione: proprio perché il ragazzo ha vissuto tutte quelle situazioni, l'unica soluzione è che ci sia qualcuno che lo guardi per quello che è, e non a partire da quei fattori antecedenti.

Puntare sulle capacità?
Allora, forse val la pena incominciare a prendere piena consapevolezza che non si può non partire dalla realtà del ragazzo, dal suo essere, dalle sue capacità, e non solo da ciò che riesce a fare, dalle sue performances (come purtroppo, spesso, viene ridotta la competenza): significa mettere in gioco un altro paradigma pedagogico, guadagnare una posizione culturale - come suggerisce Carron - per cui "la prima questione è se noi entriamo a scuola pensando ai nostri ragazzi come fatti di esigenze ed evidenze elementari"; perché ciò che conta "prima di qualsiasi nostro tentativo, è un giudizio, è uno sguardo sull'io […] che non lo riduce ai suoi antecedenti"

Non ci interessa distinguere ora tra capacità e competenze, come prima tra competenze e conoscenze! Ci sta a cuore indicare che, forse, si è aperta una fessura pedagogica interessante, una riflessione proficua, che apre nuove prospettive perché questo sguardo sia sempre più profondo e veritiero, e perché la nostra professione sia sempre più quella del maestro piuttosto che del burocrate esecutore di protocolli.


1] G. Chiosso, L'Europa e il 'mito' delle competenze da archiviare, in IlSussidiario.net, 18.01.2016.
2] J. Carron, insegnare oggi. Nuovi contesti e nuove sfide, Bologna, 11.10.2015