Formazione obbligatoria: possibilità di crescita professionale o far west formativo?

In questi primi mesi di scuola i docenti hanno dovuto fare i conti con la formazione, divenuta, con la Buona Scuola (comma 124) 'obbligatoria, permanente e strutturale'.
Il Miur ha individuato, attraverso il Piano nazionale di formazione, le 9 priorità tematiche nazionali, a cui bisognerà attenersi nella formulazione delle varie proposte formative.

Una formazione strutturale
La prima novità significativa consiste nel fatto che il piano è strutturato e lo si vede nella configurazione coesa e a cascata: le scuole, sulla base delle esigenze formative espresse dai singoli docenti attraverso i Piani individuali di formazione, progetteranno e organizzeranno, anche in reti di scuole, la formazione del personale.
Le attività formative delle singole scuole devono peraltro essere coerenti con le finalità e gli obiettivi posti nel Pof; innestarsi su quanto emerge dal Rapporto di Autovalutazione (Rav); tenere conto delle azioni individuate nei Piani di Miglioramento; essere coerenti con le priorità dei piani nazionali.
Come si vede è proprio un'organizzazione molto serrata. Dove - sulla carta - i tasselli si incastrano con precisione millimetrica: ma nella realtà è proprio così? È proprio vero che le esigenze formative dei singoli docenti si inseriscono nelle priorità del Rav, negli obiettivi del PdM, rispondendo alle priorità del Miur?

Priorità del Rav e priorità del singolo
Il piano formativo di ogni singola scuola dovrebbe avere come fulcro il miglioramento dell'offerta formativa, partendo dai dati del Rav e dalle azioni previste dal PdM.
Ma, non raramente, le azioni messe in campo dalle singole istituzioni scolastiche (o in rete con altre scuole o ambiti) spesso hanno posto l'accento su questioni che toccano molto marginalmente i bisogni formativi dei docenti, i quali si vedono un po' cadere sulla testa, non solo priorità stabilite a livello centrale (anche se molto ampie); ma anche dalla rete/ambito o - in modo più cogente - dal proprio istituto.
Ci chiediamo: quante scuole sono effettivamente partite dall'ascolto dei bisogni dei docenti per formulare i loro piani di formazione? D'altra parte, forse non sarebbe neppure stato possibile incrociare i bisogni degli insegnanti con le priorità del PdM e del Piano nazionale!
È questa 'supposta' coincidenza di obiettivi e bisogni che non ci quadra. E che sta solo nella testa dei funzionari del Miur. Anche se l'impianto è 'organico', non perde un colpo: ma solo sulla carta.

Chi decide: i Ds e il Rav
La formulazione del piano interno di aggiornamento non spetta al dirigente, ma al collegio dei docenti; quanto meno, la sua approvazione. È la legge 107/2015 a specificarlo ed è in questo modo che si valorizzano le richieste sui bisogni dei singoli docenti; al dirigente spetta soltanto garantire che almeno parte della formazione sia in linea con PdM e criteri nazionali (peraltro, questi non sono tutti obbligatori…).
Ma, ci sembra di capire che - almeno nelle scuole più zelanti - a muoversi sono stati - come era facile aspettarsi - i DS, che hanno proposto (così come gli anni addietro) un piano di formazione per la propria scuola, pur accogliendo anche alcune richieste di docenti e pur facendolo approvare dal Collegio.
Quest'anno, però, tutti i DS sono partiti dalle priorità del Rav: e questo complica la faccenda. Perché, se da una parte ben si comprende che la formazione faccia parte degli obiettivi di processo previsti dal PdM per tamponare le eventuali falle evidenziate nel Rav; e di converso la formazione deve allinearsi con le priorità del PdM; dall'altra, però, impone di fatto un piano formativo che potrebbe non coincidere con le esigenze dei singoli insegnanti.
Per fare un esempio: molte sono le scuole che hanno registrato risultati mediocri nelle prove Invalsi: e molti PdM hanno individuato come pista di miglioramento corsi di formazione per l'implementazione delle competenze linguistiche e matematiche. Ma questi corsi di formazione, magari in rete con le scuole dell'ambito territoriale, corrispondono veramente alle esigenze dei docenti?
E' vero che gli insegnanti potranno poi frequentare corsi che liberamente scelgono (magari sborsando parte del loro bonus di 500 euro): ma sarà un po' difficile eludere la partecipazione ai corsi voluti dalla scuola.
Inoltre, a seguito della obbligatorietà della formazione, non pochi sono i docenti che frequentano i seminari progettati dalle scuole solo per comodità, e solo per ottemperare al dettato della legge, ma senza alcun interesse specifico.

Nuove modalità di formazione
Tra le varie modalità, ci sembra invece molto significativa quella della valorizzazione degli insegnanti (nel Piano si fa cenno anche alla valorizzazione dei progetti innovativi dei docenti): in alcune scuole, i corsi sono tenuti dai docenti stessi, che espongono criticamente il lavoro di ricerca-azione, o comunque innovativo, svolto in classe, fornendo esempi significativi ai colleghi. Ci sembra però che la condizione perché questo possa avvenire proficuamente sia la presenza (come in ogni ricerca-azione o azione formativa) di un supervisore esterno, un formatore, insomma, che possa progettare e guidare il lavoro: il rischio - altrimenti - sarebbe quello di corsi 'fai-da-te' improvvisati e improduttivi.
Ci sembra importante, però, ribadire la posizione attiva dei docenti che non dovrebbero subire, ma al contrario, proporre le azioni formative. Per farlo, sarà importante essere coadiuvati dagli enti accreditati e dalle associazioni qualificate. Per questo ricordiamo ai lettori che la nostra associazione, Diesse, è tra le associazioni professionali qualificate riconosciute dal Miur e che, quindi, può diventare un valido interlocutore anche per organizzare corsi interni o di rete. Più che mai in questo momento, è importante portare nelle scuole una voce qualificata, e che risponda alle esigenze dal basso, come - ad esempio - le Botteghe dell'insegnare testimoniamo ormai da anni.
Basta contattarci!