N.21 - Che fine ha fatto la Costituente della scuola?

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Invocata da più parti e rilanciata dal ministro Carrozza già a fine novembre, la Costituente della scuola italiana stenta a presentarsi ai blocchi di partenza.

Il primo ad accennare alla Costituente della scuola in una sede istituzionale è stato il Presidente del Consiglio Enrico Letta l’11 dicembre scorso nel suo discorso alle Camere in occasione del rinnovo della fiducia all’esecutivo. Tra gli impegni concreti annunciati in quella occasione, per dare un seguito al decreto “l’istruzione riparte”, Letta ha indicato «una Costituente della scuola da concludere entro giugno» con alcuni obiettivi precisi: «i ragazzi devono diplomarsi prima, con competenze migliori e un orientamento più chiaro sulle future scelte professionali di formazione superiore. Gli insegnanti devono avere opportunità di formazione adeguate e regole di reclutamento e carriera stabili, basate su trasparenza e merito. Il ciclo di istruzione deve iniziare per tutti con la scuola dell’infanzia, che è un diritto dei bambini e uno strumento per favorire la conciliazione famiglia-lavoro e le pari opportunità». Tre punti programmatici qualificanti per un percorso più ampio che il ministro Carrozza ha rilanciato a metà dicembre evocando un evento nazionale aperto a tutti – «una consultazione aperta che vogliamo passi per canali istituzionali», ha detto – in cui forze politiche, sindacati e associazioni, società civile, addetti ai lavori e studenti potranno confrontarsi per «riuscire a pianificare il piano di riforma della scuola» italiana. Una Costituente che sia «in grado di fare le domande giuste per la scuola», con un’azione «che parte dalla scuola ma che parla al resto del mondo». Nessun atto ufficiale ha però poi accompagnato queste dichiarazioni.

All’inizio di gennaio la responsabile del MIUR è tornata a parlare di Costituente in un’intervista a Repubblica, precisando che non si tratterà «di un convegno né di stati generali, non sarà neppure una consultazione tra addetti ai lavori. Vogliamo aprire un dibattito in tutto il paese su questo bene primario che è la scuola. Cosa ne pensano, e come la vorrebbero, presidi, insegnanti, studenti, genitori, partiti, fondazioni, associazioni. Domande semplici su dieci temi». Dieci “temi cardine” che i tecnici del MIUR stanno individuando e che faranno parte di un questionario sul quale «chiunque, fino a maggio, potrà intervenire» sul sito del ministero; a chi risponderà sarà rigorosamente garantito l’anonimato. I risultati della consultazione saranno resi pubblici a giugno, poi a settembre verranno comunicate «quali indicazioni il ministero ha recepito».

Intanto, in attesa della definizione dei dieci temi, il ministro, ferma nella convinzione espressa qualche mese fa: «in questo momento il mio compito è far sì che il dibattito sulla scuola e l’istruzione non sia un affare da addetti ai lavori ma diventi una priorità per tutta la società», ha deciso di utilizzare la sua pagina twitter per cominciare a raccogliere idee e suggerimenti dai suoi followers. Che negli ultimi tempi sono molto aumentati (oggi sono poco meno di 42mila), ma restano pur sempre una frazione piccolissima della società italiana; e forse anche piuttosto “targata”. Il ministro ha veramente fiducia nella “rete” o questa operazione è solo un comodo paravento temporaneo?

A distanza di un mese da queste dichiarazioni ancora nessuna novità sui temi che andranno a comporre il questionario della consultazione, né sulle modalità operative di raccolta e selezione delle risposte, né sui criteri con i quali gli addetti ai lavori del ministero procederanno alla cernita e alla scelta delle proposte. Per la verità il ministro, nell’intervista a Repubblica, aveva indicato esplicitamente un paio di tematiche: la valutazione, riferita alle scuole e agli insegnanti, e l’autonomia scolastica. Sulla riduzione delle superiori di un anno (con maturità a diciotto anni), formazione reclutamento e carriera per merito dei docenti e inizio del ciclo di istruzione con la scuola dell’infanzia aveva già messo dei paletti il Presidente del Consiglio; altri argomenti che è prevedibile rientreranno nel pacchetto.

Per altri temi, al momento, non possiamo che affidarci alle varie dichiarazioni rilasciate in questi mesi dal ministro a proposito degli impegni che intende assumersi nel suo dicastero: introduzione nella scuola delle nuove tecnologie, riduzione della dispersione scolastica, con particolare riferimento all’alternanza scuola-lavoro, e consolidamento dei percorsi di formazione degli adulti. A parte queste ipotesi, però, dobbiamo constatare che, dichiarazioni a parte, non c’è finora niente di ufficialmente definito; e intanto i mesi passano e i tempi indicati per la Costituente si riducono.

Difficile non chiedersi se questi ritardi non siano determinati dalla grande mobilità del quadro politico e la conseguente instabilità del Governo in carica, che non permette di mettere in campo progetti di lungo periodo. A giugno, termine della consultazione, questo esecutivo ci sarà ancora? Oppure, a settembre, quando dovrebbero essere indicate le indicazioni recepite, questo ministro potrà ancora prospettare e avviare un percorso di riforma? Il rischio di produrre ancora una volta un documento apparentemente inutile dal punto di vista operativo è molto alto. Comprensibile, quindi, come la paura delle gravi conseguenze sul piano del consenso politico, ingenerate dal possibile fallimento della consultazione, possa determinare un rallentamento artificioso nell’avvio della Costituente. Comprensibile, ma non scusabile.