N.22 - PAS e anarchia degli atenei: subito un banco di prova per il nuovo ministro MIUR

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Atenei che si rifiutano di attivare i corsi o che non riconoscono gli esami già svolti, università che obbligano a frequentare i corsi in orario lavorativo o a sostenere ingiustificati e onerosi esami intermedi, non preventivati, aventi valore dichiaratamente preselettivo: questi sono i PAS oggi. Ovvero, il nuovo fronte dell’illecito autonomismo universitario.

Il rifiuto di numerosi atenei italiani ad attivare i Percorsi Abilitanti Speciali, in particolare quelli che riguardano scuola dell’infanzia e primaria, è solo uno degli aspetti aberranti della formazione dei docenti italiani rilevabile in questo periodo. Sconcertante, per l’arrogante pretesa di essere legge a se stesso, è la giustificazione con la quale il Politecnico di Milano «ribadisce la decisione di non attivare i corsi PAS, in quanto le modalità di selezione non contemplano la possibilità di tenere conto anche del merito dei candidati» (link). Eppure, la norma istitutiva dei PAS è chiara: l’art. 4 del DM n. 81/2013 (link) stabilisce in modo perentorio che atenei e istituzioni AFAM sono tenuti ad istituire percorsi formativi abilitanti speciali finalizzati al conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento. Il comma 1-quater dello stesso decreto chiarisce poi in modo inequivocabile che «l’iscrizione ai percorsi formativi abilitanti speciali non prevede il superamento di prove di accesso». Inoltre, al fine di assicurare la relativa offerta formativa, in caso di difficoltà nell’attivazione, vengono fornite agli atenei indicazioni per «attivare percorsi relativi alle classi di concorso previste dal vigente ordinamento» stipulando «apposite convenzioni con istituzioni scolastiche autonome (…) e con le fondazioni di partecipazione istitutive degli istituti tecnici superiori» (comma 1-quinquies).
Se non c’è il rifiuto esplicito, c’è un incomprensibile ritardo. Il DD n. 45 del 22 novembre 2013 (link) prevedeva che i corsi avrebbero dovuto «iniziare, preferibilmente, entro la seconda metà del mese di dicembre 2013 e terminare, possibilmente, entro la prima decade di giugno 2014» (art. 3, c. 1). Siamo a fine febbraio e diversi atenei ancora non hanno nemmeno emanato i bandi (!); figurarsi poi se gli esami di abilitazione potranno «essere svolti entro la fine del mese di luglio 2014».

I corsi PAS, così come previsti dalla Tabella 11-bis del DM n. 81/2013 (link), contengono alcune attività formative trasversali di didattica generale e speciale (handicap), per un totale di 18 CFU, nei settori scientifico-disciplinari M-PED/03 ed M-PED/04; esattamente gli stessi corsi e gli stessi CFU dei precedenti percorsi di TFA ordinario, stabiliti nella Tabella 11 del DM n. 249/2010 (link). Ragione e un sano principio di economia vorrebbero che quegli esami, già superati dai corsisti, vengano riconosciuti all’interno dei PAS e dati per acquisiti, come era stato fatto nel TFA ordinario. E invece cosa accade? Diversi giovani insegnanti, da più parti d’Italia, ci scrivono denunciando la situazione di atenei che non riconoscono in sede di PAS gli esami già sostenuti durante il percorso abilitante del TFA conclusosi positivamente; e ciò avviene anche nella stessa università: stessi esami e stessi docenti!
Come pure tanti sono gli appelli che ci vengono rivolti da corsisti che sono costretti a frequentare i corsi in orari impossibili o si vedono improvvisamente, senza alcun preavviso, sottoporre ad esami dichiaratamente “preselettivi” e comunque vincolanti per la prosecuzione del PAS. Eccone alcuni.
«Il MIUR diceva che il corso si sarebbe svolto il sabato e un altro pomeriggio...ebbene sono in università mercoledì, giovedì e venerdì dalle 14.30 alle 18.30». In effetti, il DD n. 58/2013 (link) all’art. 6 suggeriva che, «in linea di massima», le lezioni si tenessero «nelle ore pomeridiane e/o nell'intera giornata del sabato, fatta salva diversa articolazione fissata dagli Atenei e dalle Istituzioni A.F.A.M., in relazione a specifiche esigenze dei corsisti». Altra indicazione disattesa, quindi.
«Da uno o due scritti e esame orale per tre moduli siamo passati a ben 6 scritti con eventuale chiamata per orale»; e ancora: «I docenti del corso ci ribadiscono sempre che saranno fatte prove selettive iniziali per "scremare", dicendo anche che pochi passeranno la prova. Ci hanno fatto pagare e poi ci selezionano?». Eppure, il già citato art. 4 del DM n. 81/2013 stabiliva esplicitamente che non sono previste prove di accesso (c. 1-quater).
L’appello conclusivo è sempre lo stesso: «Cosa possiamo fare? È possibile che qualcuno non possa intervenire?». Un appello drammatico, proveniente da chi nel frattempo sta anche garantendo, come fa da anni pur restando precario, il funzionamento delle scuole.

È notizia di questi giorni che la Commissione europea ha reputato corretta la denuncia per la mancata applicazione in Italia della direttiva europea che prevede l’assunzione in ruolo di tutti quei dipendenti che abbiano maturato almeno 36 mesi di servizio. Il MIUR dovrà assumere i suoi precari, ma i tempi rischiano di essere molto lunghi, visto che ora tocca alla Corte di giustizia europea esprimersi. Nel frattempo, bisogna provvedere a rimuovere queste storture, che colpiscono in modo indecoroso una fetta consistente di docenti, sui quali lo Stato è costretto a fare affidamento ogni giorno per garantire il servizio scolastico, e consegnano, per colpa di alcuni, ad un pessimo giudizio di merito l’intera università italiana.

Non ci dispiace la proposta di questi giorni avanzata dalla UIL-Scuola in una lettera al ministro riguardo ad un provvedimento d’urgenza «che demandi sia la gestione che l’organizzazione dei corsi alle istituzioni scolastiche». Una decisione che, se presa, assicurerebbe una preparazione dei corsisti più aderente alle necessità della scuola, nonché costi di partecipazione meno gravosi.