N.24 - Insegnanti in panchina? Sì, no… forse

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Aumentano i pensionamenti, però il turn over resta scarso; cresce anche il numero degli studenti, ma non l’organico di diritto. In cosa possono sperare precari e giovani insegnanti?

Il MIUR ha reso noti i dati definitivi relativi alle domande di pensionamento a partire dal 1° settembre 2014. Sono in totale 17.237 cessazioni, così ripartite: 13.390 docenti, 3.703 ATA, 126 insegnanti di religione cattolica e 18 educatori dei convitti; la Lombardia è in testa, seguita da Campania, Lazio, Sicilia e Piemonte. Siamo ben lontani dal picco dei 55mila pensionamenti registrati nel 2007, dei quali quasi 44mila erano di docenti. Rispetto allo scorso anno, ormai tristemente famoso per il minimo storico causato dall’applicazione della legge Fornero, l’aumento percentuale più consistente di richieste proviene dai docenti, che passano dalle 10.009 del 2013 alle 13.390 di quest’anno (+34%); per gli ATA restano sostanzialmente invariate, con un lieve incremento di qualche centinaio di unità. La risalita dal minimo del 2013 è dovuta in parte anche alle deroghe in materia pensionistica introdotte con la CM n. 44/2013 del ministero del Lavoro, riservata al personale fruitore di permessi per la legge 104/1992. Tuttavia siamo ancora di fronte a pochi “spiccioli”: gli effetti della riforma pensionistica, che sta rapidamente spostando a 67 anni l’età di collocamento a riposo degli insegnanti, allontanano le possibilità di assunzione stabile di tanti precari.

Una particolare categoria di personale si trova poi, ancora oggi, in condizioni davvero assurde: si tratta dei cosiddetti “quota 96”, insegnanti, nati tra il ’51 e il ’52 e in possesso di 60 anni d’età e 36 anni di contributi (o 61 e 35), i quali avrebbero potuto andare in pensione di anzianità dal 1° settembre 2012 con le vecchie regole; a causa della “disattenzione” del legislatore relativa alle condizioni uniche di pensionamento del comparto (nella scuola si va in pensione al 1° settembre di ogni anno), per un mese o anche per un solo giorno di ritardo nella maturazione della “quota” rispetto al 31 dicembre 2011, erano rimasti tagliati fuori; con l’aggravante di vedersi trattenere in servizio tra i quattro e i sette anni in più.

Circa un anno fa sembrava che la vertenza dovesse risolversi a breve con un intervento parlamentare ad hoc, bastava trovare le risorse. Purtroppo, dopo alterne vicende e perfino un censimento per determinare il numero effettivo degli aventi diritto, il 13 febbraio scorso c’è stato l’ennesimo rinvio sine die dell’esame del provvedimento in commissione. Eppure si tratta di quasi 4mila posti che avrebbero potuto essere aggiunti alle disponibilità per le assunzioni a tempo indeterminato.
Inutile ricordare che la scuola italiana vanta il primato degli insegnanti di ruolo italiani più anziani (oltre che peggio pagati) dell’intera area OCSE; ce lo ha già detto chiaramente l’ultimo Rapporto “Education at a Glance 2013”: quasi i due terzi hanno più di 50 anni, con picchi intorno ai 60, mentre solo 27 su 1000 ne hanno meno di 30. Se non si interviene in qualche modo la situazione non può che peggiorare, con tutto quello che può implicare un ulteriore invecchiamento della classe docente sia a livello della interlocuzione più immediata con giovani generazioni sempre più distanti per età, sia dal punto di vista formativo e dell’apprendimento.

Intanto, i dati provvisori delle iscrizioni per l’a.s. 2014-15 chiuse il 28 febbraio forniscono anche per quest’anno la previsione di un aumento sostanziale del numero di allievi: saranno oltre 34mila in più. Gli incrementi maggiormente significativi riguardano la secondaria di secondo grado (+25.546, corrispondente ad un +1,03%) e la primaria (+9.216, pari ad un aumento dello 0,36%), mentre la secondaria di primo grado registra una flessione appena rilevabile (785 allievi in meno). Lo scorso anno l’incremento complessivo di allievi era stato inferiore, pari a circa 17mila unità, che però sommate alle attuali portano ad un totale di oltre 51mila nuovi ingressi nel biennio, al quale però non è corrisposto alcun aumento dell’organico di diritto, per effetto dei vincoli introdotti negli anni precedenti.

Più pensionamenti significa, ovviamente, qualche numero in più per le immissioni in ruolo del prossimo anno, ma si tratta di ben poca cosa rispetto alle “liste di attesa” dei precari. Il confronto tra MIUR e sindacati sugli organici del prossimo anno scolastico non è ancora iniziato. Però, senza una revisione della legge Fornero (che almeno il lavoro dell’insegnante venga riconosciuto come usurante!) e senza il cambiamento delle regole di calcolo dell’organico di diritto, e quindi quelle relative alle assunzioni in ruolo, sarà molto difficile che il nuovo esecutivo possa tener fede alle promesse del suo premier di svuotare definitivamente le graduatorie ad esaurimento entro il 2018; senza pensare poi al destino dei giovani neoabilitati, che vedono allontanarsi sempre di più nel tempo quella possibilità.