N.32 - BES: nuova grana per gli insegnanti o sfida educativa?

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Una delle ambigue eredità lasciate dal ministro Profumo alla scuola italiana è costituita dalla Direttiva sui B.E.S. (Bisogni Educativi Speciali) che, arrivata alle scuole accompagnata da Note applicative contraddittorie, ha creato in docenti e dirigenti scolastici preoccupazioni e difficoltà operative; spesso si sono avute anche manifestazioni rigetto, dettate per lo più da preconcetti che il ministero non è stato in grado di dissolvere. E se invece fosse una opportunità educativa?

Se chiedete a Google il significato del termine BES scoprirete che si tratta di “una antica divinità affermatasi in Egitto come capace di proteggere dal malocchio”. Ma noi sappiamo, almeno da un annetto (la Direttiva riguardante gli "Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica" è del 27 dicembre 2012), che la sigla raccoglie il quadro complesso delle difficoltà che ci aspettano al varco, il lunedì mattina, al rientro in classe.
La presunta novità del lessico ha in realtà una storia lontana. Nella formulazione anglofona di S.E.N. (Special Education Needs) circola dal 1978 per affermare quanto sia ampia l’area degli svantaggi. Molti documenti internazionali ne parlano, soprattutto per spingere a ripensare complessivamente la scuola, renderla più flessibile per «accogliere le necessità diverse di tutti gli studenti senza etichette/categorie» e sviluppare «strategie educative e approcci didattici di beneficio per tutti» (Agenzia Europea per lo Sviluppo dell’Istruzione degli Alunni Disabili Principi Guida per promuovere la Qualità nella Scuola Inclusiva - Raccomandazioni Politiche, Odense 2009). Da noi invece BES è subito diventato fonte di etichettamenti e generatore di nuove istituzioni. Esemplare la Circolare n.8 del 6 marzo 13 che istruisce sull’uso combinato di almeno venti sigle pro-BES: PAI, PDP, GLI, CTS, CTS dei CTS, CTI, CDH, CTRH… Inevitabile il proliferare di domande ansiogene per alcuni e/o crisi di rigetto: faremo un Piano Didattico Personalizzato per ogni allievo? Avremo un nuovo Piano per l’Inclusione ogni mese di giugno? Quante nuove figure di funzionari nasceranno per la gestione dei casi difficili? È fatale che qualcuno finisca per invocare che… “BES ci protegga dai B.E.S.!”.

La recente attenzione normativa sui BES contiene invece un innegabile potenziale di sviluppo positivo, soprattutto se la si legge come spinta ad una riflessione complessiva sull’idea di scuola e non solo sulla sistemazione/gestione dei casi problematici. Prendere atto delle differenze che strutturalmente caratterizzano una classe conduce alla ricerca dei fattori che facilitano la dimensione inclusiva del fare scuola fino al recupero di una parola, usurata da polemiche recenti, ma decisiva per il futuro, come “personalizzazione”. Non si tratta quindi di limitarsi alla gestione delle situazioni di difficoltà, ma di scegliere la valorizzazione delle differenze individuali come risorsa per tutti. Detto in forma accademica la prospettiva aperta dai BES non appare quella della pedagogia speciale, ma di quella generale. In termini più correnti si può dire che i contesti sono cambiati e non c’è più spazio per il docente “nuvola di pioggia” che transita sopra le teste degli studenti, li irrora con il suo sapere e se ne va. In una scuola che non sia tarata sulla “curva di Gauss”, dove solo la maggioranza uniforme trova piena cittadinanza, si ripropongono con forza tutte le esigenze di autonomia vera e flessibilità che rendono possibili gli interventi sul piano della didattica, dell’organizzazione e della collaborazione tra soggetti. Avendo ben chiaro che la scuola dipende dal tipo di soggettività che il docente riesce ad essere, ad esempio decidendo se la presenza di certi bambini in classe è un valore aggiunto o una fatica fine a se stessa.