N.33 - Il Papa, un ministro. E noi?

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La scuola italiana in piazza S. Pietro il 10 maggio per incontrare Papa Francesco. Una breve riflessione sulla giornata.

L’imponente convegno del 10 maggio, in cui Papa Francesco ha incontrato in piazza San Pietro 300mila persone provenienti dal mondo della scuola italiana, si condensa, forse, nelle parole di saluto del ministro Giannini e nella successiva allocuzione del vescovo di Roma.
«La scuola italiana guarda a lei con vicinanza e affetto», ha detto il ministro. «Insegnare è e deve tornare ad essere un lavoro bello, attrattivo e appassionante – ha affermato in conclusione – perché studiare è la più efficace forma di allenamento alla vita adulta; e perché la scuola è un bene comune: un diritto di ciascuno e un dovere per lo Stato». Per il ministro, «garantirlo a tutti, alle medesime condizioni e senza distinzioni, è il segno più convincente della libertà di educazione».
Dunque libertà di educazione per la scuola e nella scuola: un diritto/dovere che il ministro si sente in obbligo di garantire.

Il Papa dialogando ha enucleato quattro punti fondamentali, che rappresentano i capisaldi di una vera scuola, né statalista, né confessionale. Una vera scuola e basta.

  1. Anzitutto la scuola è scuola dello sguardo. «È sempre uno sguardo che ti aiuta a crescere» ha detto e testimoniato il Papa.

  2. La scuola è apertura alla realtà. «Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E noi non abbiamo diritto ad aver paura della realtà! La scuola ci insegna a capire la realtà. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E questo è bellissimo!».

  3. La scuola è luogo di incontro. «E noi oggi abbiamo bisogno di questa cultura dell’incontro per conoscerci, per amarci, per camminare insieme. E questo è fondamentale proprio nell’età della crescita, come un complemento alla famiglia. La famiglia è il primo nucleo di relazioni: la relazione con il padre e la madre e i fratelli è la base, e ci accompagna sempre nella vita. Ma a scuola noi ‘socializziamo’: incontriamo persone diverse da noi, diverse per età, per cultura, per origine, per capacità. La scuola è la prima società che integra la famiglia».

  4. La scuola ci educa al vero, al bene e al bello. «L’educazione non può essere neutra. O è positiva o è negativa; o arricchisce o impoverisce; o fa crescere la persona o la deprime, persino può corromperla. E nell’educazione è tanto importante quello che abbiamo sentito anche oggi: è sempre più bella una sconfitta pulita che una vittoria sporca! Ricordatevelo! Questo ci farà bene per la vita».

Dunque, una scuola dello sguardo, dove aprendosi alla realtà attraverso l’incontro con chi aiuta ad apprendere, la persona fa l’esperienza della verità, del bene e del bello.

E noi, che ci dibattiamo nei meandri di tanta pedagogia ammuffita per cercare nelle categorie e nei discorsi il significato di un ambiente così essenziale all’uomo (la scuola) e di un metodo che la stessa nostra natura ci mostra (si cresce nell’incontro con uno sguardo), saremo all’altezza di queste semplici quattro elementari osservazioni?
No, se insisteremo nei preconcetti abbandonando la scuola a se stessa e cedendo alla logica delle conoscenze informali, episodiche, massmediatiche.
Sì, se cercheremo l’essenza della scuola nelle ragioni della nostra stessa umanità, protesa al sapere perché desiderosa di afferrare il senso dello stare al mondo.