N.18 - Quale insegnante e quale merito nella Buona Scuola

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Uno dei nodi ancora in sospeso della Buona Scuola renziana è quello relativo alla figura dell’insegnante e alla valutazione del “merito”. Sin qui i finanziamenti disposti nella legge di stabilità indicano un percorso a senso unico: saranno giocati sostanzialmente tutti per il piano straordinario di assunzioni, destinato, nelle intenzioni del Governo, a «risolvere per sempre il problema del precariato storico». Lasciando da parte qualsiasi valutazione sugli effetti reali, la mega-operazione assunzionale prevista, superando di gran lunga le necessità oggettive del Sistema, pone da subito un grosso punto interrogativo sulla concezione della figura di docente che si viene così a delineare e sulle conseguenze che potrebbe determinare sul nostro Sistema educativo di istruzione e formazione.
Per approfondire questa delicata tematica riproponiamo qui l’editoriale n. 2 dell’ultimo numero della nostra Rivista Libertà di Educazione, dal titolo “Quale insegnante e quale merito nella Buona Scuola”.


Nel breve giro di un mese il Miur ha raccolto la mole di indicazioni emerse dalla consultazione sulla Buona Scuola e il 15 dicembre scorso il Ministro le ha presentate pubblicamente, provocando non poche reazioni anche a livello politico, nello stesso PD.

La consultazione
L'unica indicazione che risulta chiara è il piano di assunzione di insegnanti precari per un numero probabilmente doppio rispetto alle cattedre disponibili. E con ciò potrebbe concludersi la grande azione di riforma, che – così – riforma non sarà proprio.
Sull’immissione in ruolo sarebbe almeno auspicabile – se il merito è davvero importante ­ quanto meno una valutazione seria dell’anno di prova dei docenti, visto che molti di essi forse non mettono piede nella scuola da anni e che essere in una graduatoria non è garanzia di nulla.
In questa direzione delle assunzioni si spiegherebbe forse anche l'introduzione dell'organico funzionale. Sembra peraltro che non si potranno evitare le supplenze brevi, mentre si stabilizzerà una coorte di docenti senza cattedra per attività anche extracuricolari: ma perché, invece, non pensare ad un intervento sussidiario esterno? In altri Paesi già succede così e, anche da noi, sono già molti i docenti – ad esempio in pensione – che tornano a scuola per attivare biblioteche, laboratori e così via.

Questioni emergenti
Numerose sono le questioni interessanti emergenti dalla consultazione: dalla formazione iniziale, all'autonomia delle scuole; dall'alternanza scuola lavoro, al sistema di IeFP che boccheggia a causa della riduzione dei fondi, alla scuola paritaria (di fatto dimenticata); per non parlare della formazione tra pari e con l'apporto delle associazioni professionali, ampiamente promossa dalla consultazione. Su ognuno di questi punti ci sarebbe da riflettere con attenzione: ma vorremmo focalizzare l'attenzione sulla questione del merito/valutazione/carriera, perché dietro all'immagine del buon insegnante emerge l'idea di scuola sottesa.

Bocciata la Buona Scuola?
Il punto in cui il documento è stato 'bocciato' dal corpo docente, è quello degli "scatti di merito" per determinare gli aumenti stipendiali, dal momento che la proposta non ha avuto l'avallo dei docenti perché solo il 35% reputa che il merito debba determinare gli scatti di carriera, mentre il 46% pensa ad un sistema misto (merito e anzianità). Peraltro il meccanismo prefigurato dal documento per definire il merito era piuttosto farraginoso e, a conti fatti, non c’era un granché di premialità economica. Questo ha fatto supporre a molti che dietro questa proposta ci fosse un ulteriore inganno (visto anche il blocco degli stipendi).
Ma – paradossalmente – la bocciatura è venuta dallo stesso PD. Nella bozza proposta dal partito compare un sistema misto tra anzianità e merito e compare una nuova figura professionale, il "docente esperto", che dovrà "assumere incarichi e responsabilità organizzative", al quale si accede con una sorta di formazione permanente e di concorso con commissioni provinciali.

Chi è il bravo insegnante
Posto che questa è solo una bozza, ci desta qualche perplessità la concezione per cui il bravo docente sia chi si spende solo per "responsabilità organizzative": e perché non quello che ottiene successi in classe? Quello che fa fare un passo educativo ai suoi alunni?
Peraltro, come ha dichiarato la Giannini, l'81% dei docenti vuole che i docenti più bravi vengano pagati di più dei fannulloni. Il bisogno di differenziare le carriere c'è. Ma il problema appunto è di individuare i criteri. Ci interessa parlare del merito perché, dietro, c'è l'idea di scuola. Per chi ha partecipato alla consultazione, il buon docente si individua (in ordine di gradimento): 1. dalla qualità del lavoro in classe; 2. dalla capacità di collaborare con i colleghi; 3. dalla capacità di migliorare la scuola. Eppure, quando si parla di scatti di merito, nelle slide di presentazione, si sottolineano – guarda caso – solo le ultime due voci! E poco o nulla si dice sulla capacità di cooperare con le famiglie, come la legge 53 del 2003 sostiene.

L'ideologia 'buonista' del 'tutti uguali'
Infatti che cosa oggi urta negli scatti di merito? Appunto il merito. L'ideologia che va per la maggiore, negli ambienti buro­pedagogico­governativi, è che di differenziazione di carriera non si debba parlare, per il semplice fatto che questa 'dividerebbe' il corpo docente, che invece deve lavorare 'collegialmente'. Tanto è vero che nelle slide si legge, che il merito deve contribuire alla crescita stipendiale dei docenti" ma "non deve intaccare la collegialità di lavoro": preoccupazione sacrosanta, ma perché mai la diversità deve essere contro la collegialità? In una società che si definisce 'plurale', perché la scuola deve essere "singolare"?

Il mito della collegialità
Sia ben chiaro, la collegialità è una grande possibilità educativa: ma come si è ridotta nella scuola? Posto che fare di ogni erba un fascio è operazione scorretta, e premesso che molti docenti vivono reali rapporti di collaborazione, è pur vero che spesso può diventare omologazione – che non è unità – che mortifica tutti quelli che vorrebbero proporre qualcosa di nuovo o di 'non allineato'. D'altra parte non è possibile imporre dall'alto una collaborazione, se non si fonda su una reciproca stima. Semmai ciò che sarebbe da valorizzare è la collaborazione spontanea e reale tra chi si riconosce su una stessa visione educativa, che nulla c'entra con le ideologie; e quindi anche tra docenti di materie diverse.

Prospettive
Stiamo a vedere che cosa il governo deciderà: le ipotesi sono ancora tutte aperte. Ci piacerebbe che il docente esperto – se rimarrà questa figura – fosse non solo uno specialista di organizzazione, ma un docente capace in classe: che, poi, questo voglia dire, riconoscergli il lavoro in classe o farlo diventare una guida per i giovani insegnanti oppure un supporto alla didattica, dovrebbe essere un'opzione presente. Ma su questo varrebbe la pena che il Governo consultasse chi vive sul campo, ovvero le associazioni di insegnanti più che il personale del ministero: ci sembra veramente la strada più ragionevole!