N.27 - “Buona scuola”: cambia lo strumento; e la musica?

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Il Consiglio dei Ministri ha finalmente approvato il disegno di legge delega della “buona scuola”, passando realisticamente ad una formula legislativa più coinvolgente e responsabilizzante della decretazione d’urgenza. Ora il testo definitivo (vedi allegato a fondo pagina) è stato inviato alla Camera dove martedì dovrebbe iniziare il suo iter legislativo. Sarebbe affrettato avventurarsi in un giudizio dettagliato sull’articolato del provvedimento, tuttavia è già possibile rilevare un sostanziale cambio di rotta.

Impressionante come una settimana di “attenta riflessione” abbia prodotto aggiustamenti di tiro decisivi ai fini di un approccio riformatore più ragionevole e ponderato.
Colpisce, ad esempio, la completa marcia indietro sugli scatti di anzianità e – positivamente – il rilancio del merito con una posta aggiuntiva annua di 200 mln di euro. Una operazione probabilmente limitata quanto a platea di destinatari se, come sostiene il comunicato stampa del MIUR (qui il link), verrà riservata al 5% dei docenti di ruolo. In tal caso la somma pro-capite sarà consistente: 5-6mila euro l’anno; qualora non venga posto un limite massimo (il testo del ddl non lo fa), la coperta potrebbe diventare davvero troppo corta.
Analogamente, l’introduzione della “Carta elettronica”, il voucher di 500 euro che i docenti di ruolo potranno annualmente utilizzare per l’aggiornamento e la formazione professionale, ancorché esigua come cifra (ma siamo in tempi di “vacche magre”…), rappresenta una novità di grande rilievo, in controtendenza rispetto all’impostazione precedente. L’art. 10 del ddl stanzia 381,127 mln di euro a regime per far fronte alle relative spese.
La formazione in servizio, opportunamente resa obbligatoria per una professione che si rispetti, andrà invece a gravare su un budget più magro: 40 mln a partire dal 2016. È la Relazione tecnica che accompagna il ddl a dirci che è stato ideato «un modello di formazione innovativo indirizzato a tutti i docenti, composto da 50 ore di attività, strutturate in modo da ridurre i costi». Dunque, 50 ore annue di formazione obbligatoria, non retribuita e con spese a carico del MIUR.
Per contro resta sostanzialmente immutato il piano straordinario di assunzioni: 100.701 precari «tutti i vincitori del concorso 2012, nonché di tutti gli iscritti nelle GaE per la primaria e la scuola secondaria», precisa la Relazione tecnica; mentre per la «scuola dell’infanzia saranno assunti solo coloro che occorrono per coprire i posti comuni vacanti e disponibili»; tutti assieme e in modo indiscriminato. Una più che discutibile assunzione in massa senza alcun controllo sulla qualità dei docenti (nelle GaE ci sono molti in età “avanzata” che non hanno mai insegnato e tanti appartenenti a classi di concorso non più attive). Poco convincente la giustificazione che servono per la costituzione dell’organico potenziato; si sarebbe potuta evitare una sanatoria indiscriminata, diluendo nel tempo la procedura di assunzione e garantendo interventi preventivi per ottenere una maggiore qualità nei docenti da assumere.

La riflessione ha indotto anche a più prudenza nelle innovazioni, soprattutto quelle dai risvolti fortemente centralizzanti.
Sparisce così dall’articolato il Nucleo Interno di Valutazione (NIV), che avrebbe dovuto giudicare i neoassunti dopo l’anno di prova e valutare i docenti ai fini della progressione di carriera. Per il momento restano attive le disposizioni per la valutazione stabilite all’art. 440 del dlgs n. 297/1994, che l’attribuisce al collaudato “comitato per la valutazione del servizio”, eletto annualmente dal Collegio dei docenti.
Scomparsi anche i laboratori START (Servizi territoriali per l’innovazione didattica e la formazione), destinati sostanzialmente ad organizzare territorialmente la formazione in servizio decisa centralmente; per ora la formazione la decidono ancora le scuole, in rapporto al POF e alle direttive del Piano nazionale di formazione.
Nessuna traccia nemmeno del “Registro nazionale delle imprese per l’alternanza scuola-lavoro”, per cui resta alla scuola, per tramite del suo preside, la titolarità delle scelte dei partners nel mondo del lavoro e la stipula delle relative convenzioni.
Sparito anche il docente “mentore” con tutte le sue attribuzioni, mentre la costituzione delle reti territoriali di scuole, la cui definizione nella bozza del decreto-legge veniva rigidamente disposta dagli USR, rimane alla libera aggregazione tra le istituzioni scolastiche autonome.
Le disposizioni sui futuri concorsi a cattedra sono invece rinviate ad appositi provvedimenti.

Se ci diamo la pazienza di superare il fastidio per la retorica un po’ trionfalistica da cui è permeato il comunicato stampa del MIUR e guardiamo rapidamente il testo del ddl, scopriamo prospettive davvero interessanti. Che «il ddl consente di realizzare finalmente l’autonomia scolastica» è affermazione un tantino esagerata, visto che “school bonus” e 5X1000 non costituiscono strumenti determinanti per garantire l’autonomia finanziaria. Tuttavia, è innegabile come il provvedimento miri a dare maggiore centralità alla scuola, consentendole di intervenire ampiamente su tutti gli aspetti didattici, organizzativi e di innovazione, nel contempo sostenendola con un organico potenziato coerente col POF. Ovviamente, questo grado di libertà in più costituirà una vera opportunità se accompagnato da un’attenta riflessione nelle scuole circa i bisogni reali dei ragazzi. Sarà dunque decisivo l’esercizio della responsabilità non solo di dirigente scolastico e docenti, ma anche di genitori e studenti.
Diversamente da quanto ipotizzato in precedenza, il potenziamento nelle discipline quali arte, musica, diritto, economia ed educazione motoria e lo sviluppo delle competenze digitali vengono lasciati all’autonoma decisione delle scuole, che lo moduleranno attraverso li POF e personale docente appositamente richiesto. Allo stesso modo, il curriculum flessibile delle superiori, sebbene definito ancora in modo piuttosto approssimativo e un po’ ambiguo sul piano attuativo, evidenzia che il ddl intende porre l’accento sul principio che la scuola è per lo studente, la sua formazione e la sua crescita. E sarà cura/responsabilità della scuola far sì che il tempo passato nelle aule non diventi totalizzante e onnicomprensivo nella vita dei ragazzi.
Nella stessa direzione va l’ampliamento della quota minima di alternanza scuola-lavoro, che viene definitivamente introdotta come metodologia didattica in tutti i percorsi del II ciclo, oltre che adeguatamente sostenuta finanziariamente (100 mln di euro l’anno).
Un capitolo importante è riservato alle competenze dei dirigenti scolastici, che vedono aumentare considerevolmente attribuzioni e poteri, oltre a responsabilità e retribuzioni. Competenze pesanti, come la possibilità di chiamare dagli albi territoriali il personale docente dell’organico potenziato (ma anche docenti di ruolo in altre scuole) o la scelta a chi assegnare il bonus annuale per merito ai docenti; o, ancora, la facoltà di ridurre il numero di allievi per classe e dare indirizzi per la redazione del POF. Tutte novità che non mancheranno di sollevare proteste e discussioni che, ci si augura, conducano positivamente ad una qualificazione più certa della figura di dirigente a servizio dell’intera comunità scolastica.
Altra novità di rilievo è costituita dalla terna di disposizioni che si potrebbero qualificare di “finanza sociale”. 5X1000 e “school bonus consentono ai cittadini di finanziare le scuole del sistema nazionale di istruzione (quindi statali e paritarie) senza costi aggiuntivi e in cambio di agevolazioni fiscali; una formula che poggia sul principio di corresponsabilità della società civile per la costruzione e il sostegno del sistema educativo. A queste si aggiunge la detraibilità delle spese sostenute dalle famiglie per la frequenza scolastica dei propri figli. È stabilita per un importo annuo pari al 19% di spese non superiori a 400 euro (solo 76 euro…) ad allievo e vale per tutte le scuole dell’infanzia e del primo ciclo del sistema nazionale di istruzione. Così, oltre a riconoscere nei fatti il “contributo di funzionamento” che sempre più spesso viene richiesto dalle scuole oltre le normali tasse di iscrizione, afferma in concreto – seppure solo in via di principio, data l’esiguità della detrazione ammessa – la libertà di scelta educativa delle famiglie che decidono per le scuole paritarie.

La rinuncia alla decretazione d’urgenza a favore di un disegno di legge delega non riduce la portata dell’azione riformatrice dell’operazione “buona scuola”, piuttosto la potenzia e ne allarga positivamente gli effetti, caricando sulle spalle della politica parlamentare una responsabilità che sarà decisiva. Non solo per l’immediato, attraverso le questioni più urgenti snocciolate nell’articolato del ddl, ma anche per il futuro prossimo dei numerosi decreti delegati che impegneranno nei diciotto mesi successivi Governo e Parlamento in modifiche e aggiustamenti del sistema educativo.

La strada pare dunque tracciata e l’impresa è senza dubbio titanica. Probabile che qualcosa finirà per sfuggire ancora, ma dalla responsabilità di un fallimento totale stavolta non potrà sottrarsi nessuno.