N.18 - Delega per il riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria

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Tra le nove deleghe elencate al comma 181 della legge n. 107/2015 la seconda riguarda il «riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria». Il testo che segue è un primo contributo di Diesse al tavolo di lavoro istituito dal ministro Giannini sull’argomento.

Un nuovo piano di formazione iniziale e reclutamento dei docenti italiani è da tempo nell’agenda politica dei governi. Gli schieramenti che si sono alternati hanno più volte ribadito la volontà di uscire dalle vecchie forme di reclutamento, che hanno fatto della scuola un serbatoio di occupazione, utile ad uscire da una carenza di posti di lavoro, ma alla lunga devastante per il sistema scuola nel suo complesso.
La scuola sta vivendo oggi un profondo cambiamento antropologico, prima ancora che istituzionale, che riguarda le giovani generazioni che si muovono tra i banchi: la globalizzazione ed il processo di formazione della comunità europea hanno visto la crescita esponenziale degli alunni stranieri, occorre saper comprendere le reti relazionali di provenienza dei giovani, le culture di appartenenza; i giovani sono più attenti alla ricerca di una preparazione globale che li metta a contatto con una realtà multiforme e sfaccettata; si ricercano nuovi stimoli per l’apprendimento, così che la connessione con il contesto ambientale e culturale in cui la scuola agisce sia più immediato, ma al contempo tutto è da decodificare. La stessa società italiana, sempre più diversificata e ramificata, sta sempre più caricando la scuola di responsabilità sconosciute in passato. In sintesi, non è più sufficiente un sapere cristallizzato, ma la sfida che la scuola si trova ad affrontare è sempre più quella di un’educazione aperta al mondo in tutte le sue sfaccettature.
L’Europa ha cominciato da anni a misurare il grado di efficienza della scuola italiana, alla luce di prospettive di profonda interconnessione tra insegnamento di conoscenze e apprendimento di competenze. Le rilevazioni Ocse-Pisa hanno dimostrato l’esistenza di una scuola diversificata regionalmente e in media carente nella capacità di preparare i ragazzi alle sfide della interpretazione testuale, della matematica attiva, della scienza intesa come padronanza del metodo scientifico.
Le forme della valutazione sono diventate un terreno nuovo, perché comportano il rilevamento del valore aggiunto che la singola scuola immette nel percorso formativo dell’alunno.

Non vorremmo che proprio i nuovi docenti restassero fuori da questo orizzonte, dato che il futuro della scuola italiana graverà in gran parte sulle loro spalle.
L’attenzione che la legge sulla Buona Scuola riserva ai docenti è positiva, sia sul versante delle nuove immissioni in ruolo, che coincidono con il progressivo svuotamento delle graduatorie ad esaurimento, sia sul versante della formazione in servizio, che dovrà essere sempre più curata e pluralizzata.
A proposito dell’itinerario formativo del nuovo docente italiano (formazione iniziale) e del suo reclutamento, v’è ancora il rischio, tuttavia, di separare nettamente la migliore tradizione culturale relativa alla figura del “maestro” dalle recenti incombenze che spingono verso l’attivazione di dinamiche di insegnamento separate dal rapporto con gli alunni che apprendono.
Abbiamo sempre sostenuto che la professione docente si basa su una vocazione alla comunicazione di sé e alla relazione con gli studenti, per sostenere il loro processo di conoscenza della realtà. È su questo fondamento che deve essere ripensato tutto l’itinerario formativo, il quale incrocia alcuni nodi che intendiamo richiamare.

La riflessione sulla legge 107/2015, e in particolar modo sulla delega per il «riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria» di cui al comma 181 – lett. b) della legge è una occasione interessante che ci fa spostare il focus del nostro dialogo su due aspetti cruciali: la figura del docente e quale idea ne abbiamo rispetto al compito della scuola.
Alcuni punti della proposta del Governo, che sono legati a questi due aspetti, appaiono poco chiari o problematici:

  1. il percorso prospettato è troppo lungo: dalla maturità alla fine del percorso sono necessari ben otto anni; più che un percorso di formazione appare un escamotage per avere a disposizione personale docente a basso costo per coprire le supplenze brevi e temporanee, «in sostituzione di docenti assenti»;
  2. nella delega c’è poca chiarezza sulla valutazione del percorso: dalla laurea alla cattedra un candidato deve sostenere 3 o 4 esami/prove e non è ben chiaro cosa si valuta nei diversi momenti;
  3. la delega non fornisce alcuna indicazione su cosa debba appurare il concorso;
  4. sebbene venga affermata la «distinzione dei rispettivi ruoli e competenze in un quadro di collaborazione strutturata» resta ancora poco chiaro lo specifico ruolo della scuola e le specifiche modalità di collaborazione tra scuola e Università.
    Su questo punto occorre registrare l’esperienza deludente dei primi due cicli di TFA, caratterizzati proprio da una significativa carenza di tale collaborazione, in contrasto con la disposizione del DM 249/2010 relativa al Consiglio di Tirocinio come soggetto che co-progetta con le scuole il percorso di tirocinio (art. 10, c.3 - lett. b) e la conseguente ricaduta negativa sulla qualità e sulla significatività dei percorsi TFA, peraltro costosi. Una collaborazione, che nel migliore dei casi è stata di tipo amministrativo-burocratico, ha visto mortificato il ruolo formativo dell’esperienza a scuola, sia per i tempi di svolgimento del tirocinio diretto/effettivo (svoltosi tra metà marzo e inizio giugno), sia per il mancato o al più ‘simbolico’ contributo economico al quale è stato ridotto – laddove c’è stato –, disattendendo quanto disposto dal DM 93/2012 (art.8, c.3), che lo indica come dovuto dagli atenei che «riconoscono alle istituzioni scolastiche una quota del contributo di iscrizione ai relativi percorsi»;
  5. teoria e pratica, formazione accademica e tirocinio “sul campo” invece di essere integrati restano distinti e separati, il secondo rigorosamente collocato dopo la formazione iniziale. Una sorta di “strabismo” del legislatore che da una parte inserisce per gli studenti – giustamente – un percorso formativo in alternanza scuola-lavoro ma lo dimentica completamente per i futuri docenti;
  6. sparisce la distinzione tra reclutamento ed abilitazione; quest’ultima, che pure è richiesta dalla normativa vigente come requisito per l’assunzione a tempo indeterminato, non è contemplata nel testo di delega e non trova, quindi alcuna collocazione temporale nel percorso triennale. Abilitazione all’insegnamento non significa automaticamente diritto all’assunzione (come non lo è nessun titolo di studio); questo nodo, che in passato ha generato fin troppi equivoci, non viene affrontato dalla delega ma aggirato, unificando due fattispecie ben distinte sopprimendone di fatto una;
  7. il percorso delineato è caratterizzato da troppa rigidità;
  8. nel testo di delega si riscontra molta approssimazione nella definizione del contratto a tempo determinato; vengono, infatti, usate terminologie diverse e non si evince qual è l’eventuale remunerazione corrispondente al periodo.

Per dare forza e rilievo alla professione docente, a nostro parere occorre invece sottolineare il nesso con la vocazione relazionale dell’insegnante e dunque con la libertà di lasciarsi educare per educare altri, e al contempo fare del docente una figura sempre più assimilata a quella di un libero professionista, finalmente affrancato dai condizionamenti di tipo funzionale cui lo ha costretto per anni una certa ottica burocratico-sindacale dominante. Per questo all'Università va riconosciuto il compito di fornire agli aspiranti docenti le competenze disciplinari e alle scuole, attraverso il tirocinio formativo e l'importante ruolo del tutor, spetta invece la verifica seria delle reali capacità d'insegnamento di ogni singolo candidato. Per inciso, il ruolo del tutor svolto nei TFA attende ancora l’attuazione di quanto previsto dal DM 8/11/2011 art.6 (valorizzazione delle competenze e dei titoli) in coerenza con il principio della valorizzazione delle competenze sancito dalla legge n. 143 del 4/06/2004, purtroppo sistematicamente disatteso da tutte le successive OOMM.
Quanto al reclutamento, sembra ragionevole l’ipotesi di un concorso per scuole o reti di scuole volto a individuare delle competenze professionali mirate al tipo di scuola e contesto in cui l’insegnante dovrà concretamente operare. Questo criterio di flessibilità è in coerenza con certa parte del piano assunzionale agganciata ai piani di miglioramento delle scuole e con una figura di insegnante libero professionista.
In ogni caso non è ragionevole, secondo una idea di ciò che abilita un insegnante come tale e secondo una idea di quel che è lo scopo e la natura della scuola, sottomettere il percorso di formazione ad esigenze e logiche sindacali che individuano nella scuola solo un bacino di posti di lavoro. Seguire questa logica è pericoloso.