N.30 - Poter vivere un’esperienza dipende da ciascuno di noi

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«Solo persone che hanno una risposta all’altezza della situazione presente potranno veramente fare parte del rinnovamento reale della scuola – dice don Julián Carrón a un certo punto della sua lezione al convegno degli insegnanti dello scorso ottobre –. Solo se ci sono esperienze in atto, i colleghi e gli studenti potranno vedere dei testimoni di un’altra modalità di vivere e di insegnare nella stessa situazione di tutti. Questa è la sfida […] a cui ci troviamo davanti tutti. Come posso entrare in classe la mattina, dopo un giorno passato tra i disagi? Solo se vivo un’esperienza, solo se trovo dei luoghi dove posso vivere in modo tale che tutti i disagi non definiscano il mio. E questo non dipende da nessuno, tranne che da ciascuno di noi». E poi, più avanti: «Capisco benissimo l’immagine del villaggio utilizzata dal Papa, perché ci troviamo veramente a dover guardare la realtà con uno sguardo unitario, che ci consenta di collaborare e non soltanto di scaricare le colpe gli uni sugli altri. La premessa per questa collaborazione è il desiderio di tutti di partecipare all’avventura dell’educazione: gli insegnanti, i genitori, coloro che sono impegnati nella scuola a livello amministrativo e i ragazzi, perché tutti siamo sulla stessa barca e tutti dobbiamo avere lo stesso scopo» [da "Insegnare oggi. Nuovi contesti e nuove sfide"].

Nell’ascoltare queste cose, e poi nel rileggerle, Angelo Lucio Rossi, abruzzese trapiantato a Milano, dirigente di un istituto comprensivo della periferia della città, fa un salto sulla sedia. «Ma è quello che sta succedendo da noi!». E comincia a raccontare. Racconta di una mamma della scuola, disoccupata per il fallimento della ditta in cui lavorava, che avendo tempo a disposizione si era messa a sistemare la casa, aveva raccolto i libri vecchi dei figli e li aveva portati lì. Lui allora le ha proposto di occuparsi della biblioteca, lei ha accettato, ha cominciato a coinvolgersi con le attività della scuola, ha scoperto di avere i titoli per abilitarsi come insegnante di sostegno, ora lavora a tempo pieno nelle attività di aiuto allo studio. Racconta di un’altra mamma, arrivata a scuola con la preoccupazione che potesse essere per suo figlio un’esperienza bella. Lui l’ha presa in parola, l’ha coinvolta in una serie di attività, dalla realizzazione dei cartelli per dare un nome agli alberi del giardino alla risistemazione degli ambienti scolastici per renderli più accoglienti, più belli. Per festeggiare la collocazione dei cartelli degli alberi organizzano una tavolata. A un certo punto, nel chiacchiericcio generale, si alza una ragazzina: «Sembra un pranzo di famiglia, il pranzo di una famiglia allargata». «Non si pensa mai alla bellezza – ha commentato lei a un certo punto – invece l’antidoto al niente che assedia i nostri ragazzi è proprio la bellezza».

Angelo racconta di un gruppo di papà, che hanno cominciato con vernici e pennelli per rinnovare i locali e hanno finito per promuovere una vera ristrutturazione dell’edificio, fino a rendere di nuovo agibile un’antica palestra. Racconta del doposcuola, “Icaro studio”, realizzato insieme da un manipolo di inseganti e di genitori, a cui collaborano un gruppetto di pensionati, che con i ragazzi coltivano l’orto, e i suonatori della banda del quartiere. Un doposcuola a cui i ragazzi non vogliono mancare: se un giorno in una sede mancano i volontari, loro vanno nell’altra.

Penultimo atto, concorso «La mia frase», per uno slogan da dipingere sul muro come motto della scuola. Ha vinto «Io ci sono». Ultimo atto (per ora): un concorso di poesia, intitolato ad Alda Merini (per chi fosse interessato qui può scaricare il bando). Tema: «Nessuno è felice come chi sa di essere amato». Ha ragione don Carrón, poter vivere un’esperienza «non dipende da nessuno, tranne che da ciascuno di noi».