N. 2 - Pierino, la relazione e il tempo

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Metti una prima classe liceale, una prof di matematica e Pierino - un alunno con DSA: Pierino è diffidente nei suoi confronti e non vuole che alcuno si sieda vicino a lui o lo aiuti pubblicamente, accetta solo di svolgere i compiti con alcune misure compensative. Nel tempo le difficoltà aumentano, gli esiti negativi pure e per la prof è veramente difficile aiutare Pierino senza interagire con lui e i suoi problemi, finché una mattina del terzo anno il posto accanto a Pierino è libero, e la prof – pensando alle difficoltà del compito ormai prossimo – gli chiede se può sederglisi accanto mentre i compagni si alternano alla lavagna: Pierino accetta, capisce meglio gli esercizi e chiede alla prof di sedersi sempre accanto a lui! Tra l’altro il compito va alla grande, per la gioia di tutti.

L’esempio di Pierino è un racconto emerso durante uno dei vari workshop della scorsa Convention a Bologna, che ci ha visti protagonisti di un confronto molto arricchente a seguito degli affondi dei relatori – Mencarelli, Pediconi, Gui – del convegno iniziale. Essendo un racconto paradigmatico per molti, continuiamo a interrogarci: che cosa ha reso possibile questo cambiamento in Pierino? Sicuramente l’atteggiamento della prof che, pur accettando con fatica le condizioni che inizialmente Pierino le aveva posto, ha continuato a guardarlo e a stare con lui anteponendo alle difficoltà una relazione di accompagnamento discreto, avendo chiaro lo scopo di superare quel gap che ostacolava nel ragazzo un apprendimento migliore; fin quando è stato desiderabile per Pierino chiederle: “mi accompagni in questa fatica mettendoti al mio fianco? ci sei per me?” L’altro elemento fondamentale per il cambiamento di Pierino è il fattore tempo.

È vero che i ragazzi generalmente vogliono tutto e subito, ma riguardo agli adulti hanno bisogno di tempo per potersi fidare e per decidere di crescere insieme all’insegnante. E se un insegnante cambia nel corso degli anni, l’alunno deve ricominciare tutto daccapo per fidarsi nuovamente. Questo va considerato: il tempo della relazione è fondamentale, e inscindibile dall’apprendimento.

Anche noi docenti reclamiamo la necessità del tempo: per incontrare i ragazzi; per studiare e approfondire le nostre discipline tornando a riassaporarne il gusto, magari reinventandoci ogni tanto; per confrontarci con i colleghi senza soffocare tra gli adempimenti e la marea di burocrazia impostaci; per educare facendo “entrare” in classe la realtà che accade (es guerra, cronaca…) senza rassegnarci alla chimera del programma o al ricatto di esami/prove Invalsi; per mediare il lavoro dei ragazzi che si ritrovano incastrati in un sistema ‘additivo’ di conoscenze e procedure di cui smarriscono e smarriamo il senso.

La didattica, insomma, è uno strumento per entrare in relazione con la realtà e con i ragazzi come persone, ‘giocandosi’ le domande che sorgono nel rapporto con loro; non è un modo di mandare avanti il programma, per quanto interattivo o moderno possa essere. Quanto bene possiamo fare attraverso la didattica? Quanti ragazzi possiamo incontrare e stare bene insieme a loro attraverso una pagina di storia, di chimica, di matematica? Ecco perché è cruciale tornare spesso a ciò che ci ha fatti appassionare al nostro lavoro: il bello della conoscenza con cui si può creare davvero una relazione con i nostri ragazzi e condividere insieme a loro la ricchezza che c’è nelle cose. Imparando insieme e arricchendoci reciprocamente.